Costruire in pendenza: sfidare le curve di livello, assecondare le balze del suolo adagiando i volumi o contrapporsi tagliandole, nel ricercare l’ineludibile sguardo verso il basso, verso il lago laggiù. San Zeno di Montagna è una ben “piccola” montagna rispetto alle vette alpine, eppure offre una attrezzatissima palestra per esercitare questa particolare arte del costruire.
Prendiamo questa casa: la si scorge appena, scendendo da una straducola che sembra perdersi nella boscaglia, una volta lasciati alle spalle l’arteria portante del tessuto insediativo. Intravvediamo appena la massa grigiastra di un cemento maturo, stagionato e addomesticato tra le fronde. I camini in realtà sono due, non è un fenomeno di strabismo: la casa ha una sua gemella appena scostata, un tempo condividevano lo spazio intermedio come domestico luogo collettivo. Poi sono arrivate le recinzioni, segno dei tempi che cambiano.
L’accesso impervio è giustificato dalle caratteristiche naturali del luogo, e dal fatto che si tratta di una casa per le vacanze, stagione nella quale si è più indulgenti in fatto di comfort: ciò vale anche per l’auto, niente garage, basta un riparo che è parte integrante del volume fuori terra, da cui è ricavato per sottrazione. I prospetti rivelano in maniera didascalica la tripartizione della composizione, tra il basamento cementizio, la fascia dei serramenti del piano terreno e lo sviluppo del rivestimento in scandole di eternit alla francese che avvolge tutto il piano superiore e la copertura.
Nella sezione, il rigore della falda inclinata è declinato in un inconsueto doppio colmo, che si rovescia poi sul fronte a valle retto dal grande camino, perno di avvitamento al suolo della casa. Sembra un trucco del mestiere, l’elusione raffinata di un regolamento che imponga le falde inclinate, eppure è “solo” composizione architettonica: un assertivo modo di proiettarsi in avanti, tensione generata dallo sguardo verso il lago. L’ampio appezzamento verde sul davanti si apre infatti su una vista invidiabile, per il buen retiro durante la bella stagione, ma anche negli spettacolari autunni dorati di San Zeno, terra di castagni, o negli inverni temprati dalle generose fauci del camino attorno a cui gravita la zona giorno al piano terreno. Al livello seminterrato un altro camino riscalda i locali per gli svaghi (il tavolo da ping-pong…), collegati da una ripida scala in legno da rifugio montano che risale fino al piano delle camere, claustrali cellette foderate di legno di pino – arredi fissi e mobili compresi – con una moquette verde bouclé da far andare in visibilio gli amanti degli anni ‘70. La vista inquadrata dalle finestre delle camere, saliti di livello, si fa ancora più aperta.
D’estate il “fuoco” della casa si sposta sul versante esterno del camino, dove il volume è eroso da una veranda d’angolo, complice l’aggetto a sbalzo della copertura. Seduti sulla Margherita (poltroncina in vimini disegnata da Franco Albini), l’attenzione è catturata dal raffinato saggio di serramentistica, tra scuri a saliscendi, ad ali di gabbiano, griglie e carabottini in pitch-pine.
Il resto è quanto traspare dalle immagini: una casa intensamente vissuta, che associa al rigore della composizione e della conservazione di spazi, materiali e finiture originali, il calore di una spartana eleganza, arricchita dal valore d’uso del tempo, oltre che dal proprio carattere.
Non è una macchina per sorprendere, una casa d’abitazione: se così fosse, sarebbe artificiosa e menzognera. L’emozione è quella di una giornata dalla luce dorata inattesa, i raggi del sole basso che producono effetti trasognati: il padrone di casa che l’ha abitata per lunghe estati, il ricordo dei giochi dei figlioli ora adulti, le piccole inevitabili magagne dell’edificio, mali passeggeri. Padrone di casa particolare, visto che – sveliamo il piccolo segreto – è lo stesso progettista, Luciano Cenna: e l’architetto che disegna una casa per sé confonde l’orgoglio del professionista a quello del genitore presente in ogni momento della crescita: diversamente dalla consuetudine, visto che il progettista è costretto a farsi padre snaturato, e ad abbandonare l’architettonica prole non ancora svezzata. La crescita: termine assai appropriato in questo caso, a giudicare dalla fusione delle membra architettoniche con quelle vegetali degli alberi cresciuti a fianco – quanta fatica le foglie, d’autunno! – o del nocciolo che, nella veduta dal basso, sembra rappresentare simbolicamente le fondamenta-radici. Qualche anno fa, accompagnandoci a visitare la casa M. al Cerro poi pubblicata sul numero 81 di «AV», Luciano Cenna accennava a quest’altra realizzazione più o meno coeva, sempre caratterizzata dal contesto in pendenza.
Finalmente raccogliamo il suggerimento, che diventa l’occasione di approfondire parte del cospicuo corpus di opere di Calcagni&Cenna realizzate nella fortunata stagione degli anni ‘60-’70 a San Zeno di Montagna.
Anni fervidi di esercizi, non di stile o di retorica del disegno, ma costruttivi. Ricorda Cenna come fossero case costruite con poco, economiche, non c’erano ancora preoccupazioni di isolamento né le attuali paranoie normative. Formidabili davvero, quegli anni.