La vertigine dello sguardo

Un’ampia dimora costruita tra le pieghe del paesaggio lacustre è declinata come un esercizio progettuale attento al luogo e al modo dell’architettura

Testo: Damiano Capuzzo
Foto: Marco Toté
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L’incontrollabile desiderio di percorrere una scalinata per giungere al punto più alto è frutto dell’innata volontà, fin da bambini, di scoprire tutto quanto vada oltre le conoscenze acquisite. Il percorso di crescita induce però la conquista di un raziocinio che sovente limita la capacità di lasciarci coinvolgere dalla bellezza delle cose, perdendo quella naturale voglia di ambire a nuovi orizzonti.

La figura dell’architetto può assumere il ruolo di abile traghettatore lungo un percorso di scoperta potenzialmente rivelatore di qualcosa di sorprendente, non tanto in quelle caratteristiche tecnico-funzionali che le regole del buon costruire e le tecnologie odierne dovrebbero garantire, ma certamente nelle qualità emozionali di un progetto, capaci di restituire il privilegio e l’orgoglio per un luogo, una veduta e per tutti gli elementi che concorrono a sentirsi partecipi di una suggestione armoniosa o dinamica. Ecco dunque descritto il primo obiettivo che la casa presentata in queste pagine riesce a centrare.
Facciamo un passo indietro. Siamo a Torri del Benaco, e poco prima dell’abitato ci avventuriamo per una stretta stradina sterrata che sale lungo il rigoglioso e ripido pendio. Il lago non si vede; è l’attesa più bella.

Improvvisamente, uno scorcio della casa; è sfuggente, ma ne riconosciamo le linee protese verso l’orizzonte, e mentre raggiungiamo l’ingresso a valle dell’abitazione, ecco la vertigine: è la tensione del ripido fronte collinare e quindi del lago, ma anche dell’abitato di Torri poco a nord, mentre l’intera costa ovest ci appare drammaticamente vicina.
La casa è disposta su questo pendio impervio, e la scelta di scoprirla dal basso, oltre ad accrescere l’aspettativa gradino dopo gradino, rivela un esercizio progettuale non facile. Quando la proprietaria scende ad accoglierci con la palese volontà di accompagnarci lungo i gradini (non soltanto metaforici) di quella scala fino alla cima, si manifesta la convinzione che quanto incontreremo lungo il percorso saprà incantarci.
Dal livello inferiore è difficile individuare i quattro piani che definiscono la sezione, il cui impatto viene minimizzato in primo luogo inglobando l’accesso al piano interrato entro il preesistente muro di contenimento in pietra, e poi attraverso una composizione dinamica, dove le linee che definiscono il perimetro dei diversi livelli, si piegano e si allungano in maniera quasi autonoma, smaterializzando un volume non irrisorio.

L’idea alla base del progetto lavora su ripetute sovrapposizioni tra l’allineamento principale del sedime di costruzione ­– basato su un edificio preesistente demolito e ricostruito con tutti i bonus del Piano Casa – e l’andamento del confine di valle, assestato lungo la strada pertinenziale con murature in sasso. È il preludio ad una composizione a carattere orizzontale, la quale enfatizza l’indipendenza dei singoli livelli attraverso il ricorso alle linee sfuggenti dei solai che fuoriescono dai volumi costruiti come pensiline ombreggianti, definendo una complessità che nel riverberarsi dei diversi allineamenti, rende fluido il dialogo con l’ardua topografia torresana.

Nel descrivere quest’edificio, ancor più che lo studio delle piante è l’osservazione in loco a rivelare come l’approccio al disegno sia rivolto ad un’attenta analisi percettiva di ogni singola parte, tessuta con forte segno architettonico ma capace di declinare il medesimo tema di relazione mediante plurime specificità rivolte ai repentini mutamenti di orografia, di visuale e di irraggiamento. Potremmo definirla un’architettura “di modo”, diciamo assunta dall’esperienza dello studio Arteco (la quale gioca un ruolo importante), che pare averne risolto i nodi non tanto in riferimento al disegno, quanto alla vera percezione di quei singoli scorci la cui vista è resa obbligata dalla conformazione del terreno circostante; è così che le porzioni ora visibili e subito celate, amplificano la tensione degli sbalzi che caratterizzano il prospetto, ancor più quando la pendenza del terreno, che si impenna di fronte a noi, impedisce di cogliere i punti focali di quelle linee sospese, rendendole evanescenti. La sezione rende chiaro l’intento di assecondare la morfologia del terreno con un’operazione di slittamento dei singoli piani verso monte, ad eccezione dell’ultimo, il più piccolo ed esclusivo.

Ma ripartiamo dal basso. Raggiungendo il piano primo attraverso una scala in pietra bianca locale nascosta tra i colori della rigogliosa vegetazione, ritroviamo la muratura in pietra a spacco, massivo elemento della casa, sopra cui poggia una struttura leggera in legno a vista. L’interno del basamento svela un appartamento per gli ospiti, dove ad ogni stanza (bagni compresi) è riservato uno scorcio all’esterno, ora sul lago, ora sullo stretto giardino prospiciente che concede pochi passi sull’erba prima che il pendio naturale arrivi a reclamarne il bordo.
Saliamo ancora, mentre la scala si addentra nel basamento rivelando una prima porta di accesso al piano, e una seconda che conduce al cuore tecnologico interrato. L’ampio spazio al quale ci eravamo abituati, si comprime tra i due muri in intonaco di sabbia color ocra che avvolgono i gradini, ma l’impatto è fortissimo quando sbuchiamo al livello del piano principale: il lago alle spalle, la casa alla nostra sinistra e la piscina ai nostri piedi. Voltandoci, interpretiamo come attori un preciso copione, e mentre la luce di metà mattina irradia i profili ad ovest, restiamo in contemplazione di qualcosa che in quel momento appartiene anche a noi: vertigine. La percezione si rivela qui più calma, e quel gioco di linee svettanti che scenograficamente enfatizzava la visione dal basso, appartiene ora ad un disegno chiaro: un rigoroso modo di proiettarsi in avanti, verso l’intero panorama del lago.
La bipartizione del prospetto, solo percepita precedentemente, rivela una casa la cui parte superiore, interamente rivestita in legno di Jatobà del Brasile e ritmata dalla presenza delle grandi aperture vetrate, poggia su un basamento in pietra che funge da autentico supporto. La struttura è anch’essa in legno portante, con l’aggiunta di pilastri collaboranti in acciaio, esterni alla facciata e di poco staccati, che fungono da ancoraggio sia per i solai che per le pensiline a sbalzo.

Nei dettagli, la casa è un concerto ben diretto (e disegnato), dove le variazioni e gli accostamenti scorrono fluidi; i cambi di trama nelle pavimentazioni, gli allineamenti tra il rivestimento delle pareti e le imbotti in alluminio dei serramenti sono precisi. I parapetti in acciaio divengono un tutt’uno con i canali incassati per lo scolo dell’acqua che, essendo inglobati nel massetto, permettono di realizzare un nodo di estrema pulizia formale. L’esperienza dello studio Arteco, qui condotta dall’architetto Maurizio Zerbato, emerge maggiormente da ciò che non si vede: consapevoli del grande impegno richiesto per giungere a dettagli minimali ma di elevata prestazione.
Giochiamo qualche secondo con l’inganno prospettico di una piscina che, combaciante con il bordo estremo della pavimentazione sul salto di quota, sembra fondere la propria acqua con quella del lago. Poi, sfilando il grande scorrevole vetrato, entriamo in casa.

È istintiva una riflessione sulla fortuna di progettare in ambienti di pregio ma dalle caratteristiche morfologiche complesse, la quale nasconde sovente l’insidia di una spasmodica cura delle proporzioni esterne e del migliore inserimento paesaggistico, rischiando di declassare lo studio della dimensionalità interna come strettamente riferita alla proporzione dell’uomo. Essenziale quindi notare come, in questo edificio, il rapporto con il lago sia la vera costante del progetto, soprattutto dall’interno; il racconto dell’architetto Zerbato rafforza l’idea che niente sia lasciato al caso in un’abitazione che trova la sua essenza proprio nella percezione dell’esterno dall’interno.

Il fondo del salone è delimitato da una libreria free standing che nasconde la scala di collegamento dei tre livelli principali; la piacevole sorpresa è che le pedate, appoggiate ad una leggerissima struttura autoportante in acciaio, sono semplici lastre di vetro extra chiaro (nel caso la vertigine fosse passata…). La scala conduce all’ultimo livello, un piccolo studio in una sorta di torretta moderna, con arredi semplici, un pavimento caldo in legno di teak e grandi porzioni di paesaggio incorniciate dai serramenti in alluminio con lamelle orientabili a completa scomparsa, in grado di personalizzare l’intensità della luce naturale fino al black-out totale. Anche a questo livello, esternamente esiste sempre uno spazio di terrazza, di ballatoio o di giardino, ed è divertente percorrerne brevi tratti e subito voltarsi a coglierne l’esatta forma. Scopriamo qui un secondo ingresso pedonale a monte, nascosto tra la vegetazione e un piccolo orto di erbe officinali organizzato in piccole vasche di cemento, collegato alla terrazza dello studio da una passerella con struttura metallica.
Una casa fatta di episodi; impossibile infatti coglierla nell’interezza a causa della conformazione del terreno, ma è un po’ come camminare su un sentiero di montagna, ora esposti, ora al riparo, nell’attesa che il paesaggio si schiuda al prossimo sguardo concedendosi a quel ritmo che rende briosa l’intera composizione. Una casa da percorrere, i cui angoli migliori vanno ricercati, desiderati ed accuratamente scelti tra le sfumature che ognuno offre, nel tentativo ben riuscito di riproporre di volta in volta una nuova e diversa relazione con il paesaggio.

LOCALITÀ:
Committente
Privato


Progetto architettonico
Arteco Architecture Engineering Consulting
arch. Maurizio Zerbato
arch. Luciano Cenna
arch. Luigi Calcagni
arch. Antonella Milani


Direzione lavori
arch. Maurizio Zerbato
Consulenti
arch. Antonella Milani (sicurezza)
ing. Massimo Comencini (strutture)
ing. Alessandro Bacciconi (impianti)
arch. Cristina Signorini (grafica)


Imprese e fornitori
Forcellini (impianti elettrici)
Guardini (impianti meccanici)
Ceramiche Benedetti (pavimenti e rivestimenti)
Gianni Albasini
Perbellini Arredamenti


Cronologia
Progetto e Realizzazione:
2013-2016


Dati dimensionali
Superficie lotto mq 1.490
Superficie utile mq 530