Un muretto posto sul ciglio di una piccola piazza: non una macchina, nessun passante, solo il silenzio frastornante di un paesaggio incontaminato dalla frenesia del quotidiano, in cui lo scorrere dell’acqua di una fonte, il sole terso che abbaglia e il procedere sornione di un gatto si impadroniscono dello scandire inesorabile del tempo. Siamo lì ma, quello non è il nostro tempo, è il tempo del passato.
Contrada Rio Mondrago, al limite superiore della Valsorda, lungo il crinale alla biforcazione dell’omonimo rio, è una sintesi di tutto questo. Si è rotto l’orologio, nel piccolo centro sperduto tra le valli della Valpolicella, rivelandoci un segno della storia, fortunatamente mantenuto e adeguato a nuovi usi. L’intervento di recupero di Cristiana Rossetti rappresenta in questo luogo un esempio significativo di conservazione di un fabbricato nel rispetto del manufatto, pur utilizzando le tecnologie attuali. Si tratta della porzione di un immobile adiacente alla chiesa dell’Addolorata, posto nella piazza del borgo rurale, composto da più elementi volumetrici ben relazionati tra loro: un corpo centrale e gli annessi. In origine la zona abitativa era posta nella parte alta del corpo di fabbrica principale. I segni presenti sul fronte, emersi durante il recupero, consentono di leggerne l’originaria distribuzione, evidenziando gli innesti di una scala e la presenza di una volta che ne rappresentava l’ingresso. La parte sottostante era destinata a magazzino a servizio dell’adiacente stalla, posta a sud, con soprastante fienile e porcilaia. A ridosso del complesso, dietro l’immobile, un piccolo spazio verde dove era stata collocata una legnaia in pietra.
La sensibilità che contraddistingue il progetto non è casuale. L’incontro con la committenza, nato per mera coincidenza in un mercatino eco-solidale, ha portato da una semplice conoscenza alla nascita di una forte sinergia, concretizzatasi in un percorso di restauro, dove ambo le parti si sono trovate a stretto contatto. La proprietaria di origine giapponese, interior designer da quasi trent’anni in Italia, si innamora durante una visita dell’edificio. Decide di acquistare il manufatto e di intervenire per riconsegnargli la sua identità. Tutto questo è realizzabile anche grazie al finanziamento del GAL – gruppo di azione locale – una società consortile atta a favorire lo sviluppo locale di aree rurali.
L’impegno progettuale è stato da subito consistente. L’immobile era compromesso dal tempo e dall’abbandono in cui versava, e inserire le funzionalità del vivere contemporaneo su un impianto della tradizione, conservandone le caratteristiche tipologiche, non è un’operazione da poco. Si è pertanto realizzata una partitura muraria integrativa che salvaguardasse le strutture verticali, consolidandole al contempo, e concentrato il lavoro sui solai. Ripulendo l’interno del corpo centrale è apparsa una volta irrecuperabile; nella stalla, invece, attraverso una semplice pulitura la volta esistente viene rimessa in luce. Dal punto di vista costruttivo ci sono stati numerosi accorgimenti che hanno permesso di non percepire gli elementi aggiunti: l’impiantistica passa attraverso il setto portante della scala, mentre nella rimessa è stata posizionata la pompa di calore.
Il fienile è rimasto, come in origine, non riscaldato: peculiare la presenza voluta fortemente dalla progettista di una pavimentazione in terra cruda. La parete adiacente alla zona abitativa, da cui avviene l’attuale accesso, è stata rifinita con intonaco in argilla cruda. Il soppalco è stato ricostruito per restituire una corretta lettura volumetrica della struttura originaria: questo elemento tipologico, presente nelle zone di montagna non lontane dai mulini, permetteva ai contadini di conservare asciutto durante l’inverno il grano raccolto con la mietitura estiva.
Nel fienile la copertura è stata mantenuta in pietra con la sola cerchiatura delle travi lignee; nel corpo principale invece è stata rinforzata e coibentata dall’interno con l’inserimento di putrelle, celate dalla sapiente sagomatura del controsoffitto. All’esterno, nella parte abitativa, era presente intonaco di calce, mentre i fabbricati accessori sono stati mantenuti come originariamente con il muro a vista in lastame lessinico, con una tessitura muraria costituita da corsi sovrapposti ben definiti e con la forometria invariata. L’iter edilizio non ha presentato particolari problematiche: nonostante il vincolo paesaggistico, le proposte presentate sono state accolte in maniera collaborativa. Dapprima una D.I.A. per l’inizio dei lavori e in itinere una variante non sostanziale, dato l’approccio conservativo del progetto.
Fondamentale per il raggiungimento del risultato progettuale l’approccio derivante dal concetto di bioarchitettura, ovvero considerare un edificio come un organismo, inserito in un contesto geografico e con elementi storico-culturali. Si è partiti pertanto dal rispetto del manufatto che ha insito in sé una sua individualità, che è collocato in uno specifico contesto territoriale, edilizio e sociale. “L’edificio in quanto immobile è progettato per essere costruito in un determinato luogo, possibilmente minimizzando l’impatto ambientale. Il rapporto con il sito è fondamentale, la sua lettura è la prima mossa di una progettazione responsabile”.
A monte di questo procedere si presuppone un’etica volta alla valorizzazione del bene in sé e del suo contesto nel rispetto di mezzi, materiali e fonti di energia necessarie per la sua tutela. Il nostro territorio è ricco di architettura da recuperare: nei centri storici, in alcune periferie, nelle campagne, sulle colline. La volontà è di educare al riuso inteso non come lezione astratta, ma come atteggiamento prevedibile e previdenziale, grazie al quale si otterranno risultati soddisfacenti e coinvolgenti, cercando di affrontare ogni aspetto e la complessità progettuale, non perdendo di vista dove siamo e scegliendo di progettare per l’uomo, attenti al suo benessere. L’obiettivo è quello di arrivare a considerare il progetto edilizio non come evento isolato, o ripetibile ‘oggetto mobile’, bensì parte di un sistema integrato. Questa visione olistica dell’architettura, che ci obbliga a confrontarci con la specifica realtà d’intervento, ci farà scoprire con rinnovata sensibilità la continuità con la storia, le tradizioni, il paesaggio che affronteremo attraverso le nuove consapevolezze della eco-sostenibilità e della bio-compatibilità. “Se scegliamo di mettere radici dove il terreno è fertile, esso ci offrirà il suo nutrimento; ma in cambio ha bisogno di rispetto, nella speranza che possa nuovamente essere un rapporto alla pari”.