Opera prima, ultima dimora

La piccola cappella di famiglia realizzata nel 1974 nel Cimitero di San Massimo da Giuseppe Tommasi ha costituito un inusuale banco di prova dall’università al cantiere

Testo: Marcello Bondavalli
Foto: Michele Mascalzoni, Archivio Tommasi
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L’edicola funeraria della famiglia Bonfà è stata l’opera prima di Giuseppe Tommasi. Quando fu costruita nel 1974 a San Massimo, vicino a Verona, il cimitero del paese, oggi oramai inglobato nella periferia della città, era ancora un piccolo cimitero di campagna. Evento che non accade frequentemente, l’edificio è il frutto della realizzazione del progetto di tesi col quale Tommasi si laureò in architettura a Venezia nel 1973 sotto la guida del professor Carlo Scarpa. La signora Bonfà nel 1973 decise di commissionare la realizzazione della tomba di famiglia a Giuseppe Tommasi quando era ancora studente in quanto molto amico del figlio Luigi, compagno di liceo al Maffei, scomparso nel 1972 a causa di una malattia grave che lo affliggeva fin dalla tenera età.

Giuseppe Tommasi, dopo aver superato il biennio di ingegneria al Politecnico di Milano, cambiò facoltà e si iscrisse ad architettura ma, non trovando risposte adeguate alla sua indole pragmatica e creativa, si trasferì a Venezia per avere come relatore Carlo Scarpa che aveva conosciuto grazie all’amico Guido Pietropoli, già suo assistente. Il progetto di tesi fu al contempo un manifesto e una scelta di rottura nel mondo accademico di quel periodo, in quanto nelle facoltà di architettura italiane, sotto l’influsso dei movimenti sessantottini, si progettava architettura solamente pensando alla città, alla società e a come l’architettura potesse essere uno strumento di miglioramento culturale e sociale.

Spinto dall’occasione di avere un primo incarico e convinto dal suo relatore Carlo Scarpa, Tommasi, al contrario, si presentò davanti alla commissione di laurea con un progetto per un piccolo edificio, studiato fin nei dettagli costruttivi. Nella relazione che accompagna il progetto traspare la voglia di misurarsi, per la prima volta, con un progetto come “virtuale realtà” fisica dopo l’esperienza alla scuola di architettura di Milano che viene definita “vitale ma inquietante”. Questo progetto per Tommasi fu un’occasione estremamente stimolante per cominciare “l’apprendimento del mestiere” e per mettere in pratica il pensiero di Heinrich Tessenow, architetto a lui caro, che sosteneva che “la nostra vita e il nostro lavoro non possono essere belli se non possediamo una conoscenza tecnica e un mestiere solidi”.

Il lotto dove sorge questa piccola architettura è di forma quasi quadrata (5,5 m x 5,3 m) e si trova nell’angolo nord est del cimitero. Il progetto si imposta su una precisa traccia regolatrice che, partendo da un quadrato genera, inscrivendolo, un doppio rettangolo aureo che diventa la base per la pianta dell’edicola funeraria. Da questa costruzione geometrica si crea un reticolo che diventa norma per gli elementi della costruzione. La scelta di partire dal quadrato non asseconda la forma del lotto, bensì vuole essere una scelta tautologica di costruzione di un luogo, il locus, nel quale la tomba ha dimora. Secondo Tommasi questi schemi proporzionali sono strumenti della progettazione e sono “un’estensione della razionalità di sapore forse manieristico”.

Possenti setti bianchi costruiti da lastre monolitiche di pietra d’Istria, seguendo le tracce generatrici, danno forma alla tomba, creano scorci visivi e dialogano con il basamento e la copertura intersecandosi con essi. Il basamento ricalca il rettangolo aureo alla base della costruzione e, quando uno dei setti lo interseca, quest’ultimo si frammenta con un taglio dalla chiara impronta scarpiana. La copertura si appoggia leggera sui muri in pietra e, non seguendo la giacitura del basamento, disegna un portico d’ingresso e di sosta. I setti in pietra che ospitano i loculi sono caratterizzati da una scansione orizzontale di elementi in pietra di Prun lasciata a spacco che segna, con un potente gioco chiaroscurale, la sovrapposizione dei diversi piani di appoggio interni. La copertura, in cemento bianco gettato in opera, è divisa in settori e i giunti percepibili dal basso raccontano solo in parte la ricchezza di disegno con la quale questo elemento di copertura è stato progettato e costruito. Una grande vetrata con struttura in acciaio nero chiude l’edicola e ospita un mosaico raffigurante i simboli dei quattro evangelisti realizzato da Luigi Scapini, artista grande amico di Tommasi.

La tomba Bonfà è sicuramente una di quelle architetture che nascondono ad un occhio distratto la profondità di pensiero che sottende alla sua progettazione e solo la ricchezza dei particolari costruttivi svela in parte la capacità dell’architetto che si esprime senza diventare chiassosa e nel rispetto del contesto. In questo piccolo edificio è possibile riconoscere alcuni temi, che hanno accompagnato e caratterizzato tutti i progetti di Tommasi nella sua attività professionale, quali l’uso della geometria come colto strumento progettuale, la cura nella scelta dei materiali e l’attento studio dei particolari. Il fatto che Carlo Scarpa ne sia stato la guida e che l’edicola funeraria sia l’opera prima di un architetto che, seppur con poche opere, ha lasciato il suo segno a Verona, rende questa piccola architettura estremamente interessante e diventa testimonianza di una progettazione che scaturiva dalla conoscenza e dal disegno su carta e si nutriva di dettagli costruttivi che portavano ad una realizzazione consapevole e accurata.

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