Sovrapporre con leggerezza

L’ampliamento della Cantina Valetti a Calmasino allude a due elementi tipici della campagna coltivata, i muri dei terrazzamenti e i pali delle vigne

Testo: Nicola Tommasini
Foto: Alessandra Chemollo
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Terminato alla fine del 2016 dallo studio Archingegno, l’ampliamento della cantina Valetti, poco fuori Calmasino, è un intervento riuscito sotto diversi punti di vista. Non solo, evidentemente, dal punto di vista architettonico o urbano – l’idea insediativa, il linguaggio, i materiali – ma anche per quel che riguarda aspetti in questo caso tutt’altro che secondari, e cioè l’importanza della razionalizzazione degli spazi destinati al ciclo produttivo dell’azienda vitivinicola e del rinnovamento della sua immagine, in una rappresentazione di sé e della propria recente trasformazione-evoluzione.

Il programma funzionale prevedeva l’ampliamento degli spazi della cantina esistente (per l’affinamento dei vini in legno, l’imbottigliamento e lo stoccaggio del vino imbottigliato e sfuso) e la realizzazione di nuovi ambienti destinati alla commercializzazione dei prodotti, attraverso uno schema di progetto in questi casi spesso obbligato: spazi produttivi ipogei e vetrina commerciale fuori terra. Carlo Ferrari e Alberto Pontiroli ci raccontano come questo progetto abbia avuto uno sviluppo abbastanza spedito, risultato di una prima chiara idea rimasta coerente dai primi schizzi alla realizzazione. La prima mossa del progetto è evidente: anziché studiare improbabili e difficili ampliamenti in aderenza al complesso esistente, Archingegno ha optato per staccare il nuovo volume fuori terra e realizzarlo più a ovest, saturando (al netto delle distanze minime) i lati verso la strada e i terreni confinanti.

Questo movimento sortisce due effetti: disegna una nuova corte – o aia – compresa tra i due volumi e libera le possibilità compositive del nuovo volume, chiarendo il rapporto di forza tra il vecchio e il nuovo. Non solo, lo spazio a ovest è anche quello che risulta di minor impatto ambientale, con la possibilità di rispettare visuali panoramiche e parte della vegetazione esistente (un uliveto). Dal punto di vista funzionale, poi, la cantina si estende sotto la corte per collegarsi con gli spazi di cantina esistenti, con la possibilità quindi di razionalizzare i percorsi, dividendo quelli inerenti le attività produttive da quelli dei visitatori.

La composizione del nuovo volume fuori terra è tutta giocata sul rapporto tra un esile esoscheletro in acciaio assemblato sopra a dei setti rivestiti in pietra, in una allusione formale e cromatica a due elementi tipici della campagna, i pali di sostegno delle viti e le marogne dei terrazzamenti. Vista complessivamente, la cantina mette quindi assieme due diverse idee del costruire: il paradigma murario e massivo della pietra e l’assemblaggio tettonico della struttura in acciaio. A ben vedere, però, la cantina non è solo ciò che emerge dalla corte ma anche – e soprattutto, è il caso di dire – lo spazio scavato al di sotto del piano di campagna: la terza modalità di costruire.

Il rischio di una sovrapposizione di questi tre modi di costruire (muro, scheletro e scavo) era forse quello di amplificare un certo carattere aulico e monumentale, di certo poco adatto al carattere atteso dell’edificio, più schietto e pragmatico. Rischio evitato grazie ad un approccio che sfrutta l’ironia – intesa come dissimulazione – nella composizione complessiva. Archingegno mette infatti in atto tutta una serie di azioni per togliere peso ai diversi elementi. La struttura in acciaio viene alleggerita grazie alla piega data agli esili sostegni esterni, che non seguono una scansione regolare e rigida, ma sono inclinati con una logica “organica” per richiamare appunto la libera e naturale disposizione dei pali di sostegno delle vigne. L’arretramento del filo della scatola di vetro interna rispetto alla struttura esterna chiarisce poi ulteriormente lo schema costruttivo.

Il medesimo intento del togliere peso si ritrova anche nel muro in pietra del piano terra e in particolare nella soluzione d’angolo verso la corte, dove un taglio permette di varcare il perimetro murario e la maglia dei sostegni metallici dando luogo all’ingresso. Da questo punto parte, sul lato est, un lungo scalone che, salendo in diagonale sopra il paramento di pietra, giunge al piano primo attraverso un percorso che permette di scoprire visivamente la corte dall’alto e gli spazi superiori del nuovo volume, facendo leggere grazie alla doppia altezza la compenetrazione della teca in vetro dentro i muri di pietra.

Terzo momento è lo spazio interrato, cuore fondamentale della costruzione. Qui la cantina non poteva vantare e sfruttare nessuna preesistenza d’epoca e nessuna reale possibilità di “scavare” nella roccia. Gli spazi ipogei sono infatti inevitabilmente tutti costruiti, e sono quelli in cui il progetto mette insieme tradizione e contemporaneità ed usa di più l’ironia, visibile soprattutto nella sala destinata alle barriques dove il trattamento delle pareti interne si fa allo stesso tempo fortemente materico ma anche sorprendentemente brillante (con l’utilizzo di piccoli frammenti di specchio nell’impasto degli intonaci), oppure nel controsoffitto, che allude ad una tipicissima volta a botte senza scaricarne il peso sulle pareti perimetrali, staccate.

Dal punto di vista distributivo, oltre allo stoccaggio del vino nell’interrato, dove trova umidità e temperatura costante, al piano terra sono collocati il punto vendita e la zona di imbottigliamento e al piano primo gli uffici, i laboratori e lo spazio più riuscito del complesso: una sala degustazione ed eventi contenuta e protetta all’interno del perimetro della teca, che gode verso ovest della vista lago. Dalla sala, a sud, si può raggiungere la grande loggia ricavata dal profondo arretramento della parete in vetro, forte ombra che chiarisce, ancora di più, la doppia natura di pesantezza-leggerezza dei due livelli, con un disegno del fronte che diviene immediatamente molto grafico ed iconico. Uscendo dalla scatola vetrata al piano primo si può poi proseguire su una scala aperta e raggiungere la grande copertura piana accessibile, completando una promenade interno-esterno molto dinamica (che “monta” in successione le scene della corte, dell’ingresso a doppia altezza nella teca e della loggia del piano primo) dove protagonista torna ad essere la vista sul Garda.

La geometria apparentemente incerta degli elementi costruttivi esterni diventa all’interno della teca ordine che regola le boiserie, i dettagli ed i vari apparati di illuminazione interna. La luce, sia naturale che artificiale, diventa nel volume in vetro il vero ingrediente principale dello spazio. Di giorno le ombre dei sostegni disegnano segni grafici sui muri bianchi, di notte le linee luminose dell’illuminazione invertono il rapporto, dando all’edificio quel carattere fortemente iconico e comunicativo della nuova immagine dell’azienda.

Dal punto di vista materico il progetto resta coerente. Il basamento è completamente rivestito in pietra gialla che vibra e risalta in contrasto con l’acciaio color ruggine della teca. Anche le altre parti secondarie dell’edificio rimangono coerenti; una pensilina aggettante protegge due grandi aperture ritagliando una pausa nel settore centrale in pietra mentre al piano primo le parti non vetrate sono rivestite con un intonaco che riprende la stessa colorazione dei sostegni esterni.
La colorazione ruggine rende la struttura in acciaio il principale dispositivo che permette l’integrazione del volume con il paesaggio, stagliandosi sopra le chiome degli ulivi che dalla strada mitigano la vista dei setti in pietra e segnano l’ingresso alla proprietà. E forse è proprio l’integrazione con il paesaggio l’aspetto più complesso e riuscito della nuova cantina, sia nell’allusione agli elementi e alle geometrie del paesaggio circostante e sia nell’approccio che non cerca la mitigazione, ma che al contrario impone la sua presenza, trovando, però, equilibrio.

LOCALITÀ:
Committente
Azienda vinicola Valetti Luigi


Progetto architettonico e direzione lavori
Carlo Ferrari, Alberto Pontiroli


Collaboratori
Andrea Chelidonio, Alessandro Martini, Francesca Rapisarda, Marco Rizzi
Giovanni Montresor, Mattia Gaspari (progetto strutture)


Idroemme: Massimo Padovan, Davide Piacentini (progetto impianti)
Imprese
Gianfranceschi Costruzioni, Luigi Lavezzari (impianti tecnologici), Luma (impianti elettrici), Massignani & C. (serramenti e carpenterie metalliche), Bertolani (finiture d’interni), Performance in Lighting (impianto di illuminazione)


Cronologia
Progetto e realizzazione: 2013-2016


Dati dimensionali
Superficie complessiva 1.100 mq
Importo lavori € 1.300.000