Complice l’incastro visivo tra le capriate metalliche della copertura e il nostro logo, apriamo una finestra – sia detto ovviamente in termini retorici: non si tratta di una variante in corso d’opera editoriale! – sul cantiere della futura sede dell’Ordine degli Architetti di Verona. Uno spiffero, una curiosità da pensionato sul bordo di un cantiere, uno sguardo in tralice quasi per domandarci, dall’alto di un pertugio, Was ist das? (Ma che cos’è? da cui l’esilarante non-traduzione del termine per le aperture a vasìstas).
Se ne parla infatti da anni, e sembrava che il progetto fosse finito nelle secche delle più o meno grandi incompiute: destino nobilitante, a giudicare dai nutriti cassetti di ogni progettista che si rispetti. E l’avvio, quasi defilato in origine, dei lavori ai Magazzini generali con il primo tassello compiuto in solitario, ora sede dell’Archivio di Stato e dell’Ordine degli Ingegneri, sembrava spostare sempre un po’ più in là il traguardo della nostra agognata futura sede. Poi, quasi improvviso, il sommovimento tellurico nel versante sud dell’area, con il vuoto inatteso, la selva di gru e il viavai continuo di mezzi d’opera: mentre sull’altro versante la punta bicefala restava silente in attesa.
Fino a quando, altrettanto improvvisamente – ne abbiamo dato notizia nel numero 99 – è arrivato l’annuncio del via ai lavori sui magazzini 15 e 16-17, dove per l’appunto troveremo “casa”. Ed ecco, oggi, lavoratori che con assiduità operano tra cava e metti, demolisci e ricostruisci, scava e getta, con vigore maschiamente operoso (non ce ne vogliano le femmine lettrici, ma il cantiere resta – quanto meno a livello di manovalanze – ambiente sessista).
Sul dettaglio di tali lavori avremo occasione di fare il punto a metà del cammino, con una puntuale visita guidata. Ci avviciniamo in questa occasione verso tale appuntamento con lo sguardo impressionistico del flâneur urbano, con la infantile curiosità sia civile che professionale di veder finalmente ponteggi, baracche, betoniere che girano, caschetti multicolor. Di vedere un impacchettamento degno del miglior Christo sulle due punte nord del triangolo, installazione plastica che esalta, celandola, la forma stondata delle teste degli edifici: ogni nascondimento è infatti rivelazione di ciò che è celato.
Il compimento del progetto che ora si avvicina sembra però, nel suo insieme, suggellare il De profundis dei Magazzini. Sarà forse l’esasperazione nel parlarne di nuovo, per l’ennesima volta, tornando sugli stessi argomenti, personaggi e intrecci come in una telenovela sudamericana. O sarà che, dell’idea di fare dei Magazzini la nuova centralità urbana, fulcro di una Verona 2.0 nel versante meridionale della città, sembra rimasto ben poco. Ogni inaugurale taglio di nastro si prospetta così, banda e addobbi floreali e autorità in grisaglia e prelati in testa, come un compianto sulle spoglie della memoria urbana del luogo: un sentito omaggio postumo. L’incombente roseto a sistemazione degli spazi aperti centrali (ma ci sarà davvero il roseto?) stenderà l’ultimo velo pietoso e spinoso su un luogo unico e straordinario, sul quale hanno versato lacrime e sangue centinaia di studenti, professionisti, teste pensanti, associazioni e cittadini. Altro che cimitero verticale, sui cieli di Verona: ecco quello orizzontale nei recessi di Verona sud. In questo clima, la Rotonda della ex stazione frigorifera è sottoposta ad approfonditi esami autoptici, propedeutici all’innesto del Frankenstein mangereccio che ne prenderà il posto. Così si manifesta il potere impenetrabile della Cupola – perfetta espressione tridimensionale della Entità di cui è espressione – silenziosa e onnipotente, radiocentrica e cosmogonica (a guardarne la pianta, sembra davvero una forma mistica).
Riusciranno i lumi della Ragione Architettonica, dal faro della Ordinistica casa, a rischiarare le tenebre di un progetto per la città i cui destini appaiono a tutt’oggi non del tutto lampanti?