Cerco un centro

La “gravità permanente” dei monumenti simbolo della città e le tensioni dinamiche che agiscono sulla trasformazione urbana tra conservazione e innovazione

Se si prova a cercare un simbolo che possa valere ad esprimere il rapporto fecondo ma confliggente tra memorie del passato e ruolo urbano contemporaneo, nel panorama cittadino, non c’è che l’imbarazzo della scelta. Partiamo per anzianità di servizio e per maestà dall’anfiteatro romano, l’Arena di Verona, perfetta metafora della città: posta su solide basi, espressione di un disegno che non finisce di stupire per la sua compiuta bellezza, è capace di resistere all’uso pervasivo che se ne fa grazie alla resilienza delle sue antiche membra. Gli importanti lavori di restauro finalmente avviati probabilmente non avranno un grande impatto visivo, avendo sostanzialmente la finalità di conciliarne l’utilizzo come luogo di spettacolo a quelle di conservazione del bene monumentale, ma sono doverosi e necessari. Del resto si tratta di un bene in carico all’amministrazione cittadina, che però, come un Giano bifronte, sovrintende anche l’ente che ne gestisce la secolare attività musicale: che non è in discussione, perché si è sempre fatto così, perché le entrate dei biglietti, i lavoratori dello spettacolo, l’indotto e l’economia della città, certo. Solo l’imprevedibile stagione corrente ha costretto a sperimentare nuove modalità di fruizione dell’anfiteatro, che sembrano utili per riflettere sulle condizioni d’uso, sulle sovrastrutture necessarie ai piaceri del popolo, sul rapporto conflittuale tra antiche pietre e moderni impianti.
Ma l’Arena è anche un monumento da visitare come museo di sé stesso, parte di quel sistema cittadino cui spetta il ruolo di punta nella rappresentazione dell’orgoglio civico della propria storia. E mentre si attende quel Museo della Città di cui si parla da decenni, e intanto a Castelvecchio non ci sono gabinetti adeguati e non si può nemmeno bere un caffè come facciamo nei musei del mondo intero – ma la soluzione è dietro l’angolo negli insostituibili spazi del maniero scaligero ufficialmente in uso circolare ai ludi militari – irrompe gioiosamente nel sistema un nuovo museo, ed è una bella notizia.
La casa-museo che si apre grazie alla lodevole iniziativa di un collezionista privato reimmette nel circuito della fruizione culturale e turistica un nobile palazzo nel cuore della città. Intanto, poco più in là, l’incredibile fiumana attratta (in tempi normali) da un’altra casa-museo, quella di Giulietta, non sfugge al destino di contrapposizione delle due fazioni – novelli Capuleti e Montecchi – che si erano proposte di razionalizzarne la visita. Ma forse a una gallina dalle uova d’oro come il mito della infelice fanciulla, quel pollaio di via Cappello – sia detto con ironico riguardo – andrà stretto: perché non allargare allora il circuito alla pletora di palazzoni ad uso museale giusto dietro l’angolo, ancora in attesa di un senso e di un perché, orchestrando una narrazione che sappia far suonare le molte corde della vicenda, tra alto e basso, tra hibrow e cultura pop? Uno dei simboli di Verona più conosciuti al mondo chiede spazio.


Doveva essere un grande museo nei sogni di molti anche l’Arsenale, e vent’anni fa si arrivò a un progetto: poi le cose sono andate diversamente. Ora dopo innumerevoli altre tappe c’è nuovo progetto in vista, e si vedrà: c’è bisogno di rispetto per la storia degli edifici ma anche di innovazione e di generosità. La silenziosa vasca natatoria, eredità di una stagione progettuale frettolosamente rimossa, sta lì fuori come un significativo monito.
Già, la vasca: nonostante il suo understatement, si tratta di uno dei pochi interventi architettonici contemporanei riconoscibili tra il centro e i suoi margini. Per trovarne altri, bisogna andare indietro fino alla fine degli anni Settanta con l’edificio della BPV, o agli anni Duemila con la Gran Guardia (ma la parte nuova resta ben nascosta) o con la pavimentazione via Mazzini. E poi ? Certo, la manutenzione e la conservazione sono dei valori da perseguire, salvo considerare l’eredità del passato come una fuga nell’usato sicuro, piuttosto che investire con coraggio sull’azzardo del futuro.
A guardarsi attorno, sembra di cogliere una paura di lasciare segni e di innovare. Le stratificazioni della storia di cui oggi beneficiamo, le contaminazioni e le riscritture, viste col metro di giudizio di oggi sarebbero considerate inammissibili compromissioni dello stato dei luoghi. Eppure, tutto ciò che appare oggi consolidato e dato per assodato è stato a un tempo assolutamente moderno, anche dirompente e dissacrante o dissonante: è solo un fatto di prospettiva temporale.
Anche perché nel frattempo, sottotraccia, il centro città continua a cambiare, e in maniera radicale. Un tempo il nemico era il terziario, la trasformazione di case in uffici. Oggi che la più parte di questi se ne sono andati a cercar parcheggio in una cerchia più esterna, il nuovo nemico è il turista, moderno vandalo capace di mettere in crisi il rapporto tra consumo culturale e vivibilità urbana. La fioritura quasi endemica di strutture ricettive di ogni tipo è diventata certamente una palestra d’azione anche per i progettisti: una risorsa. Fuor di ipocrisie, non è il mercato sporco e cattivo ad avere espulso i poveri abitanti dalle loro case della città antica: sono loro stessi ad averle mercificate, trasformando ogni vano – compresi soggiorni e tinelli, soffitte e cantine – in altrettanti posti letto, attratti dalla apparentemente inesauribile richiesta e dalla altrettanto facile redditività degli alloggi turistici (poi venne il virus, vabbè). Il centro è morto? Gli assassini, fingendo di lamentarsi, si gòdono i lauti income dalle loro magioni un filino più periferiche (ma non troppo), con lo schioppo ancora fumante sul canterano di nonna (ah, povera nonna).
Mirare al centro: bum! Fortuna che siamo dotati di una formidabile cerchia di mura, le quali hanno anche il grande merito – courtesy un certo Shakespeare, che ne ha eternato l’imperitura gloria – di aver portato in dono a Verona la prestigiosa etichetta di patrimonio dell’umanità. Non che questo marchio di qualità (che oramai hanno anche i formaggini del discount) abbia comportato azioni concrete: si fanno piani, si fanno guide, si fanno persino concorsi – da anni non succedeva – e si estendono le attenzioni anche un po’ più in là, fino alla cerchia dei forti.
Rimane la loro massiva espressione muraria, potente e oramai dimentica delle originarie ragioni belliche, a cingere di una formidabile infrastruttura di bellezza il centro di Verona. Che altro cercare?