Che sia quella della fortuna, o più semplicemente l’ingranaggio che segna l’inarrestabile volgere in avanti dei giorni e degli anni, a una ruota sembra talvolta affidato il destino mutevole e imprevedibile dei giudizi che si frappongono fra le scelte progettuali e la loro messa in atto. Certo, tutto passa indiscutibilmente attraverso leggi e regolamenti, ma anche attraverso la loro umana, e pertanto singolare (o potremmo dire rotante) interpretazione. Un piccolo ma significativo esempio al riguarda ce lo offre una vicenda osservata dal punto di vista privilegiato – quasi un palco di proscenio – della nostra sede ordinistica.
Proprio qui infatti, nell’area dove negli anni Trenta avvenne l’edificazione dei Magazzini generali e poco più in la della Manifattura tabacchi, sorgeva uno dei manufatti della cinta fortificatoria d’epoca absburgica, il Forte Clam, costruito nel 1848 all’interno della prima cerchia del Campo trincerato. Riutilizzato dall’Esercito Italiano col nome di Forte Porta Nuova fino alla fine della Prima Guerra mondiale, fu per l’appunto raso al suolo senza timori referenziali per lasciare spazio alla viabilità lungo l’asse di accesso alla città da sud, e ai grandi insediamenti pensati per lo sviluppo di Verona. Quel piccone demolitore era certo figlio del suo tempo, e poco meno di un secolo dopo il volgere della ruota del giudizio ce lo fa appare insensato e inopportuno.
Tant’è che quando si è messo mano al recupero dei primi edifici degli ex Magazzini, tra il 2012 e il 2015, un doveroso lavoro di indagine archeologica preliminare ha rinvenuto alcuni brani di murature del forte, documentandoli accuratamente per avvalorare gli studi al riguardo ma giungendo alla conclusione che tali resti potessero tornare a riposare in pace nelle viscere della terra. E dunque, ricoprendoli accuratamente.
Un giro di ruota questa volta molto rapido ci porta al 2021, quando sul versante opposto di viale del Lavoro – perfetto asse di simmetria delle strutture latenti del forte – un analogo ritrovamento nell’area di cantiere della ex Manifattura Tabacchi ha portato a un esito opposto. Ora è stato infatti annunciato il recupero e la valorizzazione del reperto all’interno del futuro parcheggio interrato, ovvero una sostanziale musealizzazione di questa piccola porzione del muro perimetrale di Forte Clam, pochi metri a fronte dei circa 22 mila metri quadrati dell’intera fortificazione. Ne risulterà probabilmente un grazioso elemento di arredo per l’autorimessa, una sorta di gadget a favore di parcheggio, in fondo una opportunità che i progettisti sapranno cogliere al meglio.
Cosa è cambiato, al di là del salto topografico oltre il viale? Davvero è opportuno investire risorse, sia pur private, per mettere in risalto il frammento interrato di un forte che non c’è più, a fronte dei molti forti sparsi nel territorio comunale ancora in buono stato e sicuramente meritevoli di interventi che potrebbero favorirne un uso non solo contemplativo? È stato formalmente corretto decidere di reinterrare i frammenti ritrovati nel 2015, così come lo è ora la scelta di metterli in evidenza: ma certo nel pensare a quale possa essere il giudizio, in casi del genere, fa girare la testa.
Si potrebbe ampliare questo ragionamento dai beni monumentali a quelli paesaggistici, per i quali esiste una vastissima casistica di “giramenti”. L’oggettività è certo una tensione a cui si può solo tendere, affidandosi a criteri di scientificità, alla letteratura, al valore di esempio e di unicità, al rapporto con il contesto, oppure – soprattutto un tempo – a un purovisibilismo inteso in senso estetizzante. Ma quando si parla di belle arti – e quest’ultima tra le tante declinazioni nominali ministeriali in materia, che ruotano anch’esse con uno spin particolarmente vorticoso, appare particolarmente foriera di leziosa ambiguità – non c’è dubbio che i giudizi del momento diventano determinanti e inesorabili, capaci di cambiare in un punto il destino relativo a un bene.
Come del resto avviene nel momento dell’apposizione di un vincolo. È come una dichiarazione di santità: cambia completamente lo status di un bene attraverso una dichiarazione di appartenenza, e in quanto tale va rispettato come atto di fede. Dà inizio al culto, ai riti e alle pratiche consone al nuovo status. E come per ogni culto, sta ai suoi sacerdoti interpretarne il senso e dare indicazioni: precetti. Ma parroci e curati, creature del Signore, girano pure loro. •