Quando a metà degli anni ‘50 il fenomeno del turismo di massa esplode su Garda, già tappa dei Grand Tour ottocenteschi, le comunità locali, gli amministratori e gli operatori intuiscono fin da subito che l’integrità del bacino è la premessa indispensabile perché il lago, oltre che patrimonio paesaggistico comune, diventi anche risorsa economica. Fin dal 1955 si attiva un “Comitato permanente di coordinamento” dei comuni che appartengono alle tre province affacciate sul lago, comitato che nel 1972 si trasforma in “Comunità del Garda” da cui poi, nel 1975, ha origine il “Consorzio della Riviera Veronese del Garda”: la finalità è quella di predisporre un piano di interventi mirati alla bonifica del bacino gardesano, cioè alla realizzazione di un collettore fognario e un impianto di depurazione che garantiscano un miglioramento della qualità dell’acqua, compromessa dalla crescente affluenza turistica.
Nel 1974 viene presentato il primo progetto di massima per il collettore del Garda, e l’opera viene subito ribattezzata, sui giornali nazionali, come “il più grande progetto di depurazione mai tentato in Europa”. I progetti si susseguono negli anni, le soluzioni alternative si moltiplicano, passando attraverso numerosi cambi di progettisti e lunghe peripezie burocratiche, che degenerano in una spaventosa lievitazione dei prezzi. Per portare a termine un‘opera che fin da subito suscita grandi entusiasmi, qualche protesta e molti sospetti, occorreranno 119 km di tubazioni, 16 anni di lavori e 250 miliardi di lire di allora. Si scoprono abusi e mazzette, partono i processi e i ricorsi, mentre i cantieri proseguono lungo tutti gli anni ’70 e ’80 per non arrivare mai a un termine definitivo: ancora nel 1997 si stavano eseguendo lavori di impermeabilizzazione di alcuni tratti di condotte. Tuttavia, con l’entrata in funzione a metà degli anni ‘80 del depuratore di Peschiera, quasi tutti i comuni gardesani risultano allacciati alla rete interprovinciale; resta esclusa l’estrema propaggine trentina, che tradizionalmente fa storia a sé.
L’opera realizzata ha previsto una conduttura per acque miste – nere e bianche meteoriche – suddivisa in quattro rami: il primo, partendo da Malcesine, raccoglie i reflui dell’alto Garda veronese fino alla stazione di pompaggio di Brancolino, tra Torri e Punta San Vigilio, Il secondo ramo di conduttura raccoglie i reflui dell’alto Garda bresciano, da Gargnano a Toscolano, e in condotta sublacuale attraversa il lago e si innesta a Brancolino per dirigersi da qui, attraverso il terzo ramo del basso veronese, al depuratore centralizzato di Peschiera. Lo stesso depuratore raccoglie poi anche un quarto ramo che corre nel basso lago bresciano da Manerba a Peschiera.
La scelta politica di quegli anni fu di lasciare ampi margini di discrezionalità a ciascun comune, adattando il tracciato dell’infrastruttura alle diverse esigenze urbanistiche e – soprattutto – economiche locali. Questo comportò criteri di costruzione difformi per ogni singolo tratto, ma soprattutto permise alle singole amministrazioni di intervenire sull’andamento del litorale utilizzando terreni demaniali per opere altrimenti interdette dagli organismi di controllo, e che qui vennero giustificate con la necessità di realizzare questa grande opera non più differibile, vista l’urgenza di salvaguardia delle acque, delle falde e della salubrità dei luoghi. Di fatto la realizzazione del collettore stravolse completamente la conformazione del bordo lacustre, sia con manufatti tecnici (scaricatori di piena, pompe di sollevamento) che vennero a invadere le spiagge, e in alcuni casi ne crearono di nuove, sia con la realizzazione di una “passeggiata a lago” realizzata per coprire le tubazioni a bordo acqua, che nulla aveva a che fare con l’andamento consolidato delle rive.
Da allora di acqua (e altro) ne è passata dentro quei tubi, e oggi il sistema presenta alcune criticità gravi rispetto a un territorio delicatissimo dal punto di vista ambientale e paesaggistico. Il quadro di riferimento che aveva fatto da sfondo all’esigenza di dotarsi di questa grande infrastruttura è nel frattempo cambiato, le scelte allora condivise si sono rivelate inadeguate e il quadro normativo è mutato in senso restrittivo.
Le criticità più evidenti sono di natura tecnico-idraulica, e il progetto preliminare del 2014 di “riqualificazione del sistema di raccolta dei reflui nel bacino del lago di Garda” commissionato da AGS s.p.a. (subentrata nel 1995 al Consorzio) e redatto da Technital, le valuta in modo approfondito, analizzando ipotesi alternative di fattibilità.
È evidente come la più urgente delle criticità riguardi le condotte sublacuali, che unanimemente vengono definite “bombe ad orologeria”: la vetustà dei materiali e la scarsa capacità di tenuta dei giunti potrebbero provocare rotture che riverserebbero nel lago quantità consistenti di inquinanti. Ma anche la presenza, all’interno delle tubazioni dei tratti ripariali, delle cosiddette “acque parassite”, cioè delle acque di falda e di lago che vanno ad aggravare la portata della tubazione, rappresenta un problema non solo per il funzionamento generale della rete, ma anche per il consistente aggravio sul depuratore di Peschiera. Ancora, a causa dell’ingombro del collettore, i torrenti che scendono dalle pendici del Baldo presentano un’evidente compromissione della loro sezione idraulica, un restringimento dell’alveo a valle con un’alterazione del deflusso naturale delle acque verso il lago. Questa situazione provoca dissesti al bacino idrogeologico di non scarsa gravità.
A questi e a molti altri problemi accuratamente rilevati, il progetto risponde con soluzioni più o meno condivisibili, sicuramente valutabili in termini tecnici, descritte attraverso diversi scenari realizzativi e stralci funzionali che potranno realizzarsi a breve-medio-lungo termine e che, realisticamente, prevedono tempi molto lunghi per vedere completata l’opera. Si va dall’eliminazione delle condotte sublacuali, alla realizzazione, alternativa a queste, di una nuova linea sotto la sede stradale della Gardesana Orientale, con idonei manufatti, dalla realizzazione di un nuovo depuratore a servizio della sponda bresciana, a Visano, alla revisione, infine, del depuratore di Peschiera.
Il progetto è attualmente all’attenzione del dibattito politico e amministrativo, con l’obiettivo di reperire le ingenti risorse necessarie (si tratta di un importo totale dei lavori previsti di 220 milioni di euro). Rispetto alla puntualità con cui vengono messe in luce, in tale progetto, le emergenze e le contromisure tecniche da adottare, emerge tuttavia una carenza di fondo assolutamente rilevante: in questo faraonico impiego di energie non emerge mai una valutazione ambientale dello stato di fatto dei luoghi che vada oltre le criticità tecnico-idrauliche rilevate, non emerge la stima del prezzo pagato da questo territorio per la realizzazione irrispettosa di un’opera che, partita con nobili intenti, lo ha in realtà sfregiato irrimediabilmente.
Percorrendo la riva del lago così come oggi appare, non possiamo che rilevare un senso di malessere per lo stato in cui versano i luoghi. E, si badi bene, non si tratta solo di un problema di cattiva manutenzione: il turbamento nasce dal manifestarsi di processi decisionali disorganici che si sono sviluppati per rispondere a emergenze contingenti, e che non hanno mai avuto come obiettivo una coerente progettazione del tema del “bordo lacuale”. Ecco allora che i termini che meglio sembrano descrivere questo territorio, le categorie che lo rappresentano sono casualità- anarchia e compressione-negazione: una grande confusione di segni, racchiusi in uno spazio troppo limitato, nel quale la presenza del lago risulta spesso negata.
In considerazione dell’importante intervento di progettazione del nuovo collettore, perché non ipotizzare, allora, che l’infrastruttura possa essere anche un’occasione di recupero paesaggistico? Un pretesto, quello delle nuove condotte fognarie, per mettere mano a quanto di “sconcio” è stato perpetrato ai danni di questo territorio. Nel progetto AGS, tutta la parte esistente di condotte attualmente in uso dovrà rimanere inalterata e riconvertita, e non poteva essere altrimenti: inutile ipotizzare “rinaturalizzazioni” di un paesaggio comunque artefatto, frutto della secolare azione antropica. Proprio per questo, tuttavia, si potrebbe pensare all’enorme opportunità offerta di ripensare a tutta la riva del lago in maniera organica, proprio grazie all’unitarietà del progetto di infrastruttura e all’interno di questo, provando a tipizzare situazioni ricorrenti e a strutturare soluzioni sistematiche, andando oltre la frammentazione campanilistica.
Si tratta insomma di tematizzare lo spazio della riva come “confine”, come spazio limite e territorio marginale (non nel senso di periferico): indipendentemente da ciò che delimitano, i confini sono categorie che rendono pensabile il territorio, possono spostarsi, dilatarsi o contrarsi ma rappresentano una fondamentale idea di ordine.
Ed è solo all’interno di questa idea generale che possono trovare posto varie questioni. La questione del verde, che appare oggi di grande attualità: non solo pensare alla manutenzione di un patrimonio esistente di assoluta rarità, ma soprattutto progettare gli spazi verdi pensando alle varietà vegetali originarie nel rispetto anche di una tradizione botanica. Ancora, la questione della segnaletica: provare a mettere in atto una grande operazione di sottrazione oltre che di regolamentazione e selezione. E ancora, il tema del trattamento delle superfici orizzontali: prendere decisioni univoche in modo tale che ad ogni funzione (passeggiata pedonale, pista ciclabile o spiaggia) possa corrispondere un’unica soluzione in tema di scelta di materiali. Infine, la complessa questione dell’arredo urbano: abbandonare la logica del tipo “allestimento”, per abbracciare quella della funzionalità (lungo la riva del lago sono quasi totalmente assenti i servizi igienici!) e quella di un’adeguata efficienza.
Ma tutte queste questioni non possono che rientrare in una logica più vasta di scelte fondamentali, la tematizzazione di un progetto, appunto, che necessita di una visione ampia e univoca. Ecco allora che l’unitarietà dell’infrastruttura cui agganciare una soluzione peculiare ai problemi della riva del lago prende coerenza. In questa logica sta l’ipotesi della stesura di un abaco o palinsesto degli interventi, delle “linee guida” alle azioni di amministrazioni e operatori, un’occasione offerta alla riva del lago per uscire dalle categorie descrittive di cui parlavamo: casualità-anarchia e compressione-negazione versus ordine-dilatazione-affermazione.
Basterebbe ricordare che l’unica opera coerente della riva lacustre è proprio la strada Gardesana, opera monumentale di epoca fascista, ma tutt’oggi di grande riconoscibilità proprio per la sua unitarietà, generatrice di un chiaro ordine territoriale.