Presenza/Assenza

Un grande momento di festa per il Museo degli Affreschi alla Tomba di Giulietta in parallelo all’incredibile vicenda che ha interessato il Museo di Castelvecchio

È stata una grande presenza festosa quella che ha segnato la riapertura del Museo degli Affreschi alla Tomba di Giulietta. Un museo che riapre, profondamente rinnovato e ampliato, è motivo di gioia per la comunità di cui è espressione, che si ritrova attorno ai segni della propria storia, conservati e messi in mostra nei modi più consoni: per la conoscenza, lo studio e anche semplicemente per godere l’emozione della bellezza che ogni opera d’arte in quanto tale sa offrire.
Un ulteriore motivo di gioia è il compimento di un percorso progettuale assai prolungato nel tempo, che ha premiato la tenacia e la pazienza di tutti i soggetti coinvolti. Del progetto in questione avevamo avuto modo di parlare affrontando per esteso il tema del sistema museale veronese in un numero monografico della rivista («AV» 94, 2013). Di tanto lavoro si colgono finalmente i frutti, e altre tappe si aggiungeranno a breve a una realtà, quella dei musei di Verona, che nonostante il clima e le stagioni, qualche temporale e qualche previsione non azzeccata, continua a riservare uno spettacolare cielo terso per visitatori e appassionati, tra i quali comprendiamo una nutrita schiera di architetti. Godiamoci dunque questa festosa e fastosa preview, nell’attesa di rinnovare il fermo immagine su nuovi e “vecchi” musei. Godiamoci l’intreccio dei fenicotteri scolpiti nella patera trecentesca che Valter Rossetto ha posto in una teca-oblò nella saletta che accoglie i visitatori nei nuovi spazi espositivi al Museo degli Affreschi: un simbolico abbraccio tra opere d’arte, visitatori e città. Per poi passare nella grande sala dove si dipana la magnificenza dei grandi affreschi staccati, la cui eccezionalità ha richiesto una esposizione assai mirata e ponderata, esito di un dialogo fruttuoso tra museologi e museografi in cui consiste, al di là di ogni riferimento formale, l’autentica eredità della grande stagione dei musei italiani del dopoguerra. Per consentire una adeguata lettura dal basso dei sottarchi trecenteschi con ritratti di imperatori romani provenienti dalla Loggia di Cansignorio, l’invenzione dell’allestimento è di sospenderli al soffitto scuro e di illuminarli con apparecchi illuminotecnici integrati nella struttura di supporto. Assieme ai riflessi della pavimentazione lapidea, di tonalità neutra, e al rigoroso controllo della luce naturale proveniente dal cortile meridionale, mutevolmente cangiante nel corso della giornata, la suggestione di questi imperatori volanti invita i visitatori a un inatteso balletto con lo sguardo all’insù, persi nella bellezza sorprendente di quest’opera ritrovata.
Ma ecco, nel breve volgere di una settimana, che la presenza festosa ha lasciato il passo a un’assenza sconvolgente e drammatica. Non facciamo cronaca con questa rivista, anzi vogliamo pensare che il brutto incubo in cui si è ritrovato il Museo di Castelvecchio a seguito del criminoso ratto di cui è stato oggetto una terribile sera di novembre, sia per l’appunto solo un brutto sogno, e che rileggendo fra un po’ di tempo queste pagine possa essere solo un brutto ricordo, con il retrogusto amaro di una notte agitata. Ma le immagini che si presentano ora agli occhi dei visitatori attoniti della galleria dei dipinti, lì tra i pannelli posti da Carlo Scarpa, sui “suoi” muri, sotto i controsoffitti intrecciati à la Mondrian, sembrano trasfigurare l’assenza in un tema compositivo. Vuoti, tracce, impronte: i segni dei dipinti mancanti sui muri ritagliano nuovi punti di vista, indirizzano l’occhio su tagli asimmetrici e riquadrature sbilanciate. Le pareti orbate mostrano se stesse nude e crude, le vergogne dei tasselli infissi a muro, le trame sottili e sabbiose degli intonaci, i cartellini ammutoliti delle opere mancanti che sembrano le descrizioni improbabili di opere sospese tra il materico e il concettuale. Una installazione sull’arte del levare?
Sappiamo purtroppo che non è così, e con tutta l’ammirazione e riconoscenza che dobbiamo al “nostro” Castelvecchio, uniamo la nostra presenza in un abbraccio corale che la città deve tributare a uno dei simboli contemporanei della sua magnificenza architettonica.