Con il silenzioso ammainabandiera del tabellone, oramai consunto, che annunciava la destinazione a Polo culturale dei Magazzini generali di Verona, si è compiuto un atto che emblematicamente rappresenta la vertiginosa caduta di ciò che rappresenta oggi, per la nostra città, la cultura. In parallelo, si assiste all’interno dei grandi progetti di trasformazione urbana a una quasi parossistica invasione di tutto quello che è improntato alla vendita o preparazione del cibo, al mangiare o al food – come si usa dire con un mellifluo anglismo – quale salvifica e pervasiva destinazione d’uso.
Prendiamo per l’appunto la “madre” dei grandi progetti per la città, i Magazzini generali.
Una breve cronistoria: risale al 1982 la progressiva dismissione degli storici spazi attestati sull’asse di viale Piave-viale del Lavoro, a seguito dell’apertura dei nuovi magazzini generali al Quadrante Europa. Nel 1998 viene imposto il vincolo monumentale che tutela l’archeologia industriale dei Magazzini e del Mercato ortofrutticolo. Nel 1999 viene presentata la prima versione del P.r.u.s.s.t. (Programma di Riqualificazione Urbana e Sviluppo Sostenibile del Territorio), approvato poi nella sua veste finale nel 2005.
E da allora a oggi? La dicotomia Polo culturale-Polo finanziario (chi si ricorda più quest’ultimo?) su cui era imperniato il Piano particolareggiato è stata progressivamente smantellata, pezzo per pezzo.
L’ultimo colpo di piccone è la notizia della futura realizzazione, al posto del previsto auditorium, di un grande punto vendita della catena Eataly all’interno della stazione frigorifera. Si dirà: nessun destino migliore per il gran zuccotto della Rotonda che rimanere, mutatis mutandis, un frigoriferone di vettovaglie alimentari solo un tantino più elaborate e prêt-à-porter di quelle all’ingrosso cui era adusa. In fondo, quanto si era visto del progetto per l’auditorium appariva – nonostante l’autorevole firma – alquanto distruttivo e lesivo della fabbrica, mentre una funzione più soft come quella commerciale-ristorativa ha comunque il pregio di essere maggiormente adattabile agli spazi. E allora, tutti a tavola: dal Polo al pollo, si potrebbe dire con uno speziato slogan: in una città in cui, del resto l’attività avicola è storicamente fiorente.
Poco più in là, dopo che l’altro Polo (finanziario) venne a furor di popolo mandato in soffitta in nome e per conto della prioritaria necessità di parcheggi per la fiera, ecco che una parte di questi, appena realizzati, verranno sostituito da una nuova struttura per la grande distribuzione: una soluzione con la Esse lunga per le casse comunali, ma l’idea è assai Corta. E così, chi volesse avventurarsi à la recherche del P.r.u.s.s.t. perduto, non avrebbe che l’imbarazzo della scelta per acquistare il canonico biscottino, e inzupparlo ripensando agli auditori, ai musei, agli spazi “per la cultura”.
Il virus gastro-urbanistico ha lasciato in città altre tracce: ecco la Città del gusto all’interno della proposta di riqualificazione dell’Arsenale (che una volta si diceva dovesse essere un museo), mentre riguardo a Palazzo Forti circolano accurate informazioni riguardo la gestione, il menù e la cantina del ristorante di Amo (che si diceva dovesse essere un museo).
Il cambiamento di paradigma in atto è generalizzato.
Facile sarebbe l’affermazione che a tavola, tra preparazioni e riti del mangiare e del bere, si celebra una ben radicata cultura. Si dice spesso – erroneamente – che la cultura non dà pane. Ora invece dal panem et circenses siamo passati direttamente al pane e salame.
Di pari passo, il motto inciso nella Iconografia rateriana, la più antica veduta della città, ovvero l’aulico Magna Verona, vale!, dovrà essere riscritto maccheronicamente in forma più adatta allo spirito dei tempi: Magna Verona, magna!