Quale luogo può essere più suggestivo di un’antica corte rurale per ospitare una residenza per artisti? Lontana dai centri urbani, una terra la cui desolazione può giovare alla creatività: ci troviamo a Pilastro di Bonavigo, frazione del piccolo centro abitato che nasce sulle anse dell’Adige, 40 km a sud di Verona. La disposizione isolata del nucleo di Ca’ Ottolina è rappresentativa dell’antico utilizzo delle corti di campagna, piccoli “villaggi” abitati dai proprietari terrieri e dai loro lavoratori per dedicarsi all’agricoltura. L’accesso avviene attraversando un lungo viale alberato di pioppi cipressini che lascia intravedere i campi circostanti, prevalentemente coltivati a mais: l’orizzonte è basso e lontano, tipico per chi è abituato a vivere in pianura. La casa padronale seicentesca, con i suoi annessi, si presenta immersa nelle alte alberature, che formano una cornice rendendola isolata dall’intorno. Le antiche stalle, il granaio, il fienile, racchiudono in una “C” il grande spiazzo dove si giunge dal viale alberato: saltano subito all’occhio le prime opere, reduci dalle scorse edizioni di Artfarm Pilastro. Una scultura in corten si scopre essere un’opera nata per essere abitata, una “residenza d’arte” per una gallina; una composizione in bambù gialla, Luce dall’universo di Beni Altmüller, irrompe nell’ampio proscenio come un vero e proprio meteorite, illuminando la facciata.
L’artefice di questa iniziativa fu nel 2002 Umberto Polazzo, proprietario della corte, che si occupò del restauro di parte degli edifici e ospitò alcuni artisti provenienti dall’Austria: da allora la manifestazione si ripete ogni anno per alcuni giorni, in procinto dell’estate. Polazzo, anch’egli artista, si è trovato a ricoprire il ruolo di mecenate incrementando ogni anno il numero di partecipanti e le loro provenienze. Il tema su cui sono stati invitati a riflettere gli artisti di quest’ultima edizione è “SFOCARE”, con la curatela di Simone Azzoni, docente e critico d’arte: “La sfocatura è diminuzione della nitidezza, della chiarezza dell’immagine. Diminuzione generata tra troppa lontananza o eccessiva vicinanza. È perdita di cornice per opacità delle forme che rinunciano ai loro confini definitori per farsi tutto integrato nel tempo e nello spazio dell’altro. Sfocatura non è solo spazio di una condivisione incerta che vibra di impalpabile tremore esistenziale ma è anche rischio di oblio, passaggio dal presente alla memoria. Sfocare è allontanare nel tempo generando la distanza che non visualizza ma ottunde le oggettive condizioni di esistenza. Sempre più la sfocatura si dà come condizione di sopravvivenza poetica in un presente dinamico che oscilla tra il non esser più e il non sapere dove”.
Un tema molto vasto, adatto ad essere declinato da varie forme di espressione: arte, scultura, fotografia, scrittura. Gli artisti, quest’anno trentasei, sono chiamati a interagire con i vari spazi della corte: molte delle opere sono site specific, mentre le esposizioni di quadri e fotografie avvengono nei locali della villa e negli annessi. La serata inaugurale è ricca di performance e opere pensate per essere viste con l’oscurità. Tale è il buio che è quasi disorientante, ma al tempo stesso necessario per aumentare la suggestione: le persone si riconoscono a fatica, sono sagome anch’esse sfocate, mentre l’incontro con le opere diviene rivelazione.
Tra gli alberi sul retro della villa, la voce narrante di Margherita Sciarretta, accompagnata dalle note di Alberto Brignoli, si fonde con la musica sperimentale di Alberto Gaio, circondati da sculture illuminate tra le quali la struttura quasi geodetica in bambù di Marco Polazzo. Uno scorcio tra le masse d’alberi accoglie Pochi gradi di separazione quadrato di mare, installazione di Meri Tancredi e Piero Chiariello: l’orizzonte è improvvisamente azzurro, reso ancor più luminoso dal cielo nero. L’unico punto luce, in lontananza, il timpano bianco di Villa Brena, sembra una luna in procinto di sorgere.
Una connessione visiva tra gli esterni avviene attraverso le aperture disposte linearmente del salone della villa, che, come le sale laterali, ospita numerosi quadri e fotografie: tra queste ultime il progetto Le città del silenzio di Lorenzo Linthout, fotografo della nostra rivista. Proseguendo all’esterno si giunge al grande edificio anticamente adibito a stalla: il porticato anticipa un’ampia sala vuota scandita dalla ripetizione di piccole finestre e dalla travatura lignea del solaio. Tiziano Bellomi, accanto a una sua opera dell’anno precedente, la grande scritta su muro Plan a revolution, crea l’installazione Tutte le frasi sono celebri: una serie di acrilici a parete simulano dei manifesti che ripetono, diventando quasi provocatori, “Mettere a ferro e fuoco”, “Una vita sfocata”, “Non me ne frega un cazzo”, “Brucia la casa”, “Nebbia nel cervello”.
Nell’avanzare in questo percorso ritmato da buio e luce si intravedono gli essiccatoi del tabacco: due grandi manufatti in laterizio si ergono di fronte ai silos adibiti a depositi, in cui vengono proiettati dei video. Grazie all’olfatto affinato per l’oscurità, si percepisce subito il profumo del tabacco: nonostante essiccare le foglie appese in mazzi accendendo piccoli fuochi non sia più una pratica diffusa, Ca’ Ottolina mantiene viva l’antica tradizione. Le alte scatole affumicate ospitano alcune performance: Maurizio Zanolli, pittore e scenografo, dipinge in diretta, mentre Jhafis Quintero e Cecilia Peire in Asfixia diventano due corpi che arrancano dentro un lenzuolo bianco, in cerca di ossigeno; Lawren Spera in Nosociation (Nessun nesso) costruisce un grande alone di luce dai bordi sfocati, lasciando intravedere alle pareti i mattoni anneriti per la fuliggine. La cupola rossa di Umberto Polazzo è Omaggio a Hieronymus Bosch-Il Giardino delle Delizie: la struttura metallica esterna riprende il disegno della cupola interna mantenendo il vuoto concentrico, simulando quasi un tempietto rinascimentale.
La concentrazione di arte è tale che accresce nel visitatore la voglia di partecipare alle opere e continuare a cercarne, così come un fotografo potrebbe impazzire nel voler catturare le numerose inquadrature che si vanno a creare: ad Artfarm tutto si trasforma in arte, le opere si fondono con l’architettura e con il paesaggio, la vegetazione, la notte.