Figli della stella

Una riflessione generazionale a partire dalla data di nascita dell’archi-scultura natalizia che tradizionalmente campeggia in piazza Bra

Puntuale come la stagione festiva, le ricorrenze e le abitudini – per buone o cattive che siano -, anche quest’anno la familiare sagoma dell’archi-scultura in forma di stella cometa è ritornata a posare le sue 78 tonnellate di non eterea materia in piazza Bra, solleticando in punta di coda le vetuste gradinate del più insigne monumento cittadino. Come un gigantesco piercing urbano, lo stellone-spillone adorna-deturpa il bel volto della città e risolleva, in analogia con le diffusissime pratiche di decoro corporale, l’interrogativo retorico di matrice loosiana: ornamento e (o) delitto?

L’idea di un originale allestimento per le ricorrenze natalizie si deve all’architetto e scenografo Rinaldo Olivieri, la cui idea trovò compimento per la prima volta nel 1984. Da allora, il gesto innovativo e un po’ folle è stato fagocitato e digerito (ma non ancora espulso) dal ventre conservatore della città: l’eccezione è scivolata nella ripetizione, poi nella consuetudine e infine nel rito. Da lì alla monotonia e al tedio, c’è solo un soffio. Strano il destino delle masse di ferraglia assemblate per una circostanza temporanea, e poi assurte da scandalo a simbolo: successe così anche alla fiammeggiante Tour Eiffel che – ruggine permettendo – non si schioda dai cieli di Parigi da oltre un secolo. Per lo meno la stella-stellona di Verona, passate le feste, torna a dormire in qualche suo misterioso cosmico àndito, ridotta a fette, nell’attesa che si compia il giro di valzer delle stagioni. Un due tre, stella: rieccola, è passato un altro anno, e la vecchia idea appena rispolverata è servita sulla tavolata festiva come un piatto della tradizione, senza far conto se sia indigesta o meno. Si sa, fine anno per la dieta non è il massimo…

Eppure volendo rilanciare l’idea, innovare, proporre nuovi segni tanto più forti e dirompenti quanto più temporanei ed effimeri, non mancherebbero certo nella nostra città menti creative, pensatori, artisti e sì, certo, anche architetti: i maturi e gli affermati, ma anche quelli nati nello stesso fatidico 1984, i “figli della stella” oggi circa trentenni, dunque nel pieno teorico di una maturità in stato crescente. Che straordinaria opportunità sarebbe quella di approfittare di questa generazione di progettisti, anche a partire da un intervento sovrastrutturale come può esserlo un allestimento natalizio, per mettere alla prova forze in campo e capacità di innovazione. Certo, il presupposto iniziale è una committenza lungimirante (…).

E invece questa “generazione stella” rischia di rimanere intrappolata: salvo qualche eccezione, brillante come un astro nascente mattutino, per chi collabora negli studi ben avviati il rapporto di pseudo dipendenza è piuttosto di sudditanza, anche psicologica, stante la evidente impossibilità di mettersi in proprio come si narra fosse solito un tempo oramai mitico, quando un condominietto, una scuola o un bel restauro non si negava a nessuno. Ma il mondo cambia, il mercato della professione lo segue a velocità stratosferica e chi sta in mezzo a queste galassie in collisione rischia di fare la fine non di una Supernova, ma di un Buco nero. Altro che archi-sculture!

E gli altri? Da una parte, i neolaureati di oggi escono dalle scuole con una maggior consapevolezza, forse, di come sia cambiato il mondo dell’architettura e dei percorsi da intraprendere: o almeno questo è il migliore degli auguri che si possa far loro. Dall’altra parte, chi è un po’ più in là con gli anni, i quaranta-cinquantenni suonati, hanno già consumato le meglio speranze inacidendo in parallelo al grigio che avanza, con l’unico guizzo di saper adattare in chiave personale le parole d’ordine più in voga in campo disciplinare (re-uso, ri-ciclo, ri-generazione…) per re-inventarsi in qualche modo: ecco la schiera degli architetti perduti che si mettono a fare i gelatai, i baristi (ah che sollievo, cappuccini e spritz al posto di catasti e mattonelle del cesso!), o in mancanza di meglio si ritirano in una cameretta della propria casa amorevolmente ristrutturata per sfruttare l’ultima attività produttiva fiorente in città, quella turistico-ricettiva, aprendo b&b e declinandosi come lavandai e portinai.
Eppure questo firmamento dell’architettura veronese continua a mostrare non solo pulviscolo, ma anche dei puntini luminosi più intensi qua e là, alcuni magari lontani, altri che roteano sopra le nostre teste, come cerchiamo di mostrare nell’osservatorio cartaceo di questa rivista. Sperando che non siano effimere stelle cadenti.