Gardaland e lo spazio perduto

Un testo del 2002 di Eugenio Turri dagli archivi di «AV» sul fenomeno del grande parco divertimenti in relazione al contesto gardesano

II vulcano di Gardaland
“Sei mai stato al Lago di Garda?
Sì, sono stato a Gardaland.
Ma Gardaland non è il Lago di Garda!
Sì, forse sì, ma è divertente. È la Disneyland italiana…”.

Dunque gli italiani, molti italiani, non solo ragazzini in voglia di avventura, vanno al Lago di Garda per vedere Gardaland, il grande parco dei divertimenti, dimenticando il lago. Il lago, cosa volete, è vero, è fisicamente un elemento scontato, è parte della realtà risaputa, Gardaland è l’irrealtà, il sogno, la fuga nell’immaginario. Ma Gardaland è una finzione, una mistificazione per molti aspetti meschina, a parte i voli sulle slitte aeree, le vertigini che si possono provare sulle giostre. Ma il resto, per noi almeno, è proprio meschina, miserabile, siano i dinosauri ricostruiti, che tolgono ogni spazio alla fantasia, siano le casette dei sette nani, diverse da come le avevamo immaginate, siano tante altre cose umiliate dalla cartapesta e dalla plastica.

È miserabile ad esempio quel vulcano finto che troneggia al centro del parco: una collinetta artificiale, di materiale scuro, finta lava, con la bocca sommitale da cui esce del fumo. In un giorno limpido quel conetto io l’ho visto sovrastato dalla cresta imbiancata di neve del Monte Baldo, che si ergeva sullo sfondo, mentre il lago in basso vibrava come una lama celeste. Ed era un confronto che faceva risaltare tutta la povertà della finzione. La realtà è altra cosa, è tanto più bella, tanto più possente, dura, rocciosa, ossessiva, pervasiva. Eppure non è solo qui, a Gardaland, che la finzione si sovrappone alla realtà. Accade sempre più spesso e anche in luoghi che non ci si aspetterebbe. Un po’ ovunque l’uomo d’oggi tende a costruire paesaggi falsi, virtuali, spettacolarizzati, simulacri della realtà come li definiscono E Jameson ed altri: “Nella società dello spettacolo gli individui vivono in un mondo fabbricato a loro misura, nel quale tutto ciò che un tempo veniva vissuto in maniera diretta viene sperimentato come rappresentazione mercificata o amministrata burocraticamente, sostanzialmente preferibile (perché più pulita, più sicura e più sensuale) alla realtà. Nella società del simulacro di Baudrillard il reale è stato irrevocabilmente rimpiazzato dall’illusione, e il mondo non è meramente rappresentato nelle immagini commerciali, ma di fatto consiste in queste immagini.

L’immagine è quindi più efficace della realtà stessa – diventa iperreale” (Jon Goss). Non solo, ma fa dimenticare ed oscura lo spettacolo vero, la natura nella sua dimensione spaziale fisica, nella sua verità che pure è angosciante nel suo suggerire confronti tra gli spazi dell’eterno, del metafisico, e quelli del quotidiano o dell’esistenziale.
Forse i costruttori di Gardaland potevano costruire la loro cittadella del virtuale e del divertimento in un luogo più anonimo, meno caratterizzato, con vantaggi oltretutto per il traffico e per il turismo tutto del Garda; potevano risparmiarci la sovrapposizione del virtuale su uno sfondo già spettacolarmente vero come è il Lago di Garda; ma la società capitalistica, post-moderna, costruendo questi “distretti del piacere” sembra che dei luoghi che la cultura e la storia hanno celebrato e mitizzato nel corso dei secoli non sappia più che farsene, a meno che non frutti in senso quasi fordista (A.Bonomi). Tutto ciò succede solo da noi, in Italia, o anche fuori dal nostro paese? La risposta è che il post-moderno è invasivo, una sorta di malattia che si sta diffondendo un po’ ovunque e che fa parte del percorso storico obbligato che le società occidentali stanno seguendo secondo, forse, una logica che è telefinalistica per qualcuno, o semplicemente prodotto di pure e contingenti logiche capitalistiche per altri (D.Harvey). Anche nella patria del post-moderno, gli States, nostro riferimento quotidiano, del resto si cerca, solo in apparenza per reazione, di dare valore all’heritage, alle eredità del passato, siano cultural resources, siano natural resources, da rispettare per cavarne danaro. Con valorizzazione quindi delle memorie dei tempi andati, degli spazi sacralizzati da événements, monuments e bellezza. Ma non finisce con l’essere anche questa ricerca e valorizzazione dell’heritage una forma di virtualizzazione? Non lo è la stessa megalopoli che si stende ai piedi delle Alpi nella sua continua ripetizione di modelli urbani, sia pure oscillanti di decennio in decennio? Il fatto è che l’uomo, dopo la modernità che per alcuni secoli lo ha visto confrontarsi direttamente con la natura, costruire paesaggi da cui emergesse la centralità dell’uomo nel mondo, la sua capacità di usare utilmente, esteticamente ed ecologicamente l’ambiente naturale, oggi la natura l’ha messa in un angolo e tende a costruire un mondo autoreferenziale, tutto umano, tutto nelle mani, illusoriamente, di sé, dei suoi progetti, delle sue aspirazioni a vivere autonomamente, esonerato o affrancato dai dettami della natura, libero da ogni determinismo. Ma sarà poi vero?

Non è stato vero certamente il giorno in cui ho visto il vulcano di Gardaland sullo sfondo del Monte Baldo. Era una giornata di fohn, con l’aria ripulita da questo vento: bellissima, una di quelle giornate che ogni tanto, da milioni di anni, riappaiono con il coincidere dei venti veloci da Ovest. Il Monte Baldo pareva un cavallo sublimamente imbizzarrito con la sua criniera bianca e le sue rocce facevano riflettere sull’eternità della montagna e imponevano il raffronto con il carattere effimero dei gesti e delle invenzioni umane. La visione faceva affiorare la verità che la virtualizzazione del mondo in atto e la postmodernità cercavano illusoriamente di obliterare.

BIBLIOGRAFIA
M. Berman, L’esperienza della modernità, Il Mulino, Bologna, 1985
A. Bonomi, Il distretto del piacere, Bollati Boringhieri, Torino, 2000
A. Gehlen, L’uomo, Feltrinelli, Milano, 1983
J.D. Goss, Modern and postmodern in the retail built environment, Unwin Hyman, Londra, 1992
F. Jameson, Il postmoderno e la logica del tardo capitalismo, Garzanti, Milano, 1989
D.Harvey, La crisi della modernità, Il Saggiatore, Milano, 1993
E.Turri, La megalopoli padana, Marsilio, Venezia, 2000

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