C’era una volta il Polo Culturale
Il primo motivo è la sensazione che una gloriosa stagione progettuale, che vide il nodo di Verona sud e dei Magazzini Generali al centro di un dibattito internazionale (1) sul finire degli anni ’90 e i primi anni 2000, sia stata irrimediabilmente sprecata. Il nocciolo centrale di quel dibattito, cui anche «ArchitettiVerona» partecipò attivamente (2), era che la città pubblica potesse in qualche modo dettare le regole della città privata, che attraverso il grande progetto unitario di una parte di città si potesse modificare il destino di tutta la zona sud di Verona: l’occasione era data dalla grande disponibilità di aree dismesse, entrate in proprietà comunale nel 1987, che interessavano un comparto vasto come un quinto di tutto il centro storico della città, e che avevano con questo un legame fisico (disponendosi lungo l’asse di accesso al centro) ma anche un profondo legame di senso, perché se il centro storico aveva fatto da generatore alle espansioni della città del ‘900, allora questo grande intervento poteva diventare promotore di una nuova centralità.
Il “Programma di Riqualificazione Urbana e di Sviluppo Sostenibile del Territorio” e il successivo Piano Particolareggiato (3) predisposto per la sua attuazione, prevedevano due macro ambiti di intervento, rispettivamente per gli Ex Magazzini Generali e per l’Ex Mercato Ortofrutticolo. Per il primo è evidente come l’obbiettivo fosse proprio quello cui accennavamo poco sopra: la realizzazione di una parte di città non tanto gestita direttamente dalla “mano pubblica” (eventualità difficile da realizzare con il modesto finanziamento del PRUSST, ma non impossibile viste le realizzazioni in altre parti d’Europa), ma quanto meno finalizzato a un interesse pubblico, con la destinazione dei Magazzini a Polo Culturale.
In questo nodo teorico ci sembra risiedere la determinante per comprendere meglio il fallimento del progetto: la città dei recinti industriali ormai dismessi aveva bisogno di rientrare nel circuito urbano per il quale serviva una nuova centralità, e l’insediamento di funzioni pubbliche poteva assolvere questo compito. Ma questo assunto originario è andato via via dissolvendosi nelle fasi della sua realizzazione e per questo sembra interessante capire come ciò sia potuto accadere, quali siano stati i protagonisti in campo e cosa non abbia funzionato nel meccanismo della rigenerazione urbana.
Pubblico, semipubblico: privato
Nel lasso di tempo che va dal 31 dicembre 2003, data in cui il Comune di Verona cede l’area dei Magazzini a Fondazione Cariverona con l’obiettivo di realizzare il famoso Polo Culturale, al 2015, allorquando la proprietà viene trasferita al gestore di fondi immobiliari Torre SGR, si consuma il fallimento di quegli obiettivi. Cos’è cambiato in quei dodici anni tanto da far cambiare completamente la prospettiva dell’operazione?
È cambiato quasi tutto, ma è cambiato soprattutto il ruolo delle fondazioni bancarie, non solo di quella veronese, all’interno della società e dei territori di riferimento (4). Nati dalla privatizzazione delle Casse di Risparmio con scopi di utilità sociale e promozione di sviluppo economico attraverso solidi patrimoni finanziari, questi istituti hanno subito con la crisi degli anni 2000 un ridimensionamento dei loro obiettivi che – sintetizzando e semplificando un processo tortuoso e ancora incompleto – si è risolto in interventi assai più limitati numericamente e mirati a realizzare proventi da reinvestire in altri interventi; non più o non solo quindi erogazioni a fondo perduto alla collettività territoriale in una visione filantropica, ma operazioni di marketing immobiliare destinate a produrre reddito. Per questo motivo entra in scena, sul teatro dei Magazzini, Torre SGR e poi successivamente anche l’Immobiliare Patrizia, agenzia multinazionale di Real Estate esperta in gestioni immobiliari.
È evidente come, a fronte di questi nuovi obiettivi, la realizzazione del Polo Culturale abbia subito un forte ridimensionamento, vedendo avviarsi la lunga e penosa trattativa durata anni per sottrarre, pezzetto per pezzetto, al progetto iniziale le destinazioni pubbliche a favore di quelle private, più redditizie: si comincia con l’autorizzazione per il cambio d’uso dell’edificio della Rotonda che da Auditorium passa a Commerciale e Terziario, per poi passare agli edifici 16 e 17 (da Direzionale pubblico a Direzionale privato) per finire con gli edifici 25 e 26 che subiscono il medesimo destino (5).
Non una grande revisione del progetto, con almeno la dignità di una nuova visione complessiva, ma un sottile lavorio di piccole modifiche, di stralci, di ritocchi che, letti nel loro complesso, trasformano la natura complessiva dell’intervento. Nel mentre, oltre all’accumulo di studi e progetti vari, si sono bruciate tutte le idee e ipotesi di usi propriamente culturali, dalle accademie ai musei, in un florilegio di annunci in seguito puntualmente smentiti dai fatti .
È così che, con un’idea complessiva dei futuri Magazzini ancora debole e soggetta a repentini cambi di scenario, è iniziato il recupero architettonico per parti, a partire dal Magazzino 1 nel 2014, destinato prevalentemente all’Archivio di Stato (6), seguito nel 2016 dalla testata nord del complesso con le sedi degli Ordini professionali (7).
Ma a partire dal 2015 con l’affidamento del progetto a un personaggio di spicco come Mario Botta, gli interventi virano tutti all’uso privatistico degli spazi, con l’insediamento degli uffici centrali di Unicredit nel 2016 negli edifici 23 e 24, seguito tra fine 2019 e prima metà del 2000 dall’arrico della finanziaria DoValue e della sede direzionale GSK Italia negli ex magazzini 25 e 26; mentre restano ancora incerti gli utilizzatori finali a cui verrà destinata la Rotonda, persa ormai la sua destinazione ad auditorium come previsto nell’ormai superato, di fatto, Piano Particolareggiato. Un profondo cambio di paradigma, quindi.
A proposito di Restauro
È evidente che chi rilevò i Magazzini Generali, in tempi oramai lontani, si sia poi trovato con un quadro di riferimento via via più complesso, per il contraltare di scelte amministrative incerte, visioni contrastanti sul futuro della città, opere e omissioni degli enti di controllo. Particolare perplessità suscita il ruolo avuto dalla Soprintendenza nella gestione di un vincolo che, dalla sua applicazione pervasiva, ha mutato di segno tra cambi di destinazione d’uso disinvolti e altrettanto sorprendenti demolizioni e ricomposizioni volumetriche.
Da un lato, forse non era così scontato che tutti gli edifici dell’area fossero da sottoporre a tutela: se già il Decreto di vincolo del 1999 (8) aveva introdotto un criterio di selezione, consentendo la demolizione di otto fabbricati su diciassette, pochi anni più tardi una proposta progettuale di un autorevole figura come quella dell’architetto Massimo Carmassi (9) poneva ulteriori distinguo circa l’effettivo valore architettonico di buona parte degli edifici compresi all’interno del recinto, arrivando nella versione più estrema a mantenere solo l’edificio della Rotonda e la testata nord e procedendo ad un grande intervento di sostituzione edilizia. Di fatto, però, l’apposizione di un vincolo dovrebbe sancire un valore condiviso, e un edificio che vi sia soggetto deve essere restaurato.
Ancora una volta, la questione che emerge è: si tutela la materialità di un’opera o la sua immagine? Di sicuro la materialità se n’è andata, ai Magazzini: sarà stata la scarsa consistenza edilizia dei fabbricati, sarà stata l’antisismica, certo è che li abbiamo visti tirar giù quasi completamente, tranne superstiti frammenti di facciata, ricostruendo poi corpi edilizi totalmente rimaneggiati, con forometrie reinventate secondo i calligrafici pattern del progettista.
L’edificio più prezioso, la Rotonda, appare ora integro e luccicante nel suo aspetto esterno, ma è stato svuotato, scarnificato e privato di quelle “interiora” che ne facevano corpo vivo. Sono queste le “condizioni di prospettiva, luce, cornice ambientale e decoro” che il decreto di vincolo sanciva? Probabilmente si, visto che si tratta di lavori legittimati da tutte le autorizzazioni dovute: ma che fine ha fatto l’archeologia industriale, confinata in bei repertori fotografici e poco più?
Il grande assente
Tutto questo passerebbe in secondo piano se il risultato fosse armonicamente inserito in uno spazio urbano, nell’accezione di spazio condiviso a servizio della città. Invece, per ora, il vecchio muro di cinta fatiscente continua a tenere chiusa l’area alla città, deprivandone le potenzialità: così come in un condominio lo spazio aperto è l’ultimo a essere realizzato perché considerato di risulta, così le grandi superfici liberate, prospicienti gli edifici in via di ultimazione, risultano dei ritagli marginali al progetto edilizio, e soprattutto a servizio non della città ma degli edifici “privati” che vi prospettano. Lo spazio aperto non è permeabile ai flussi urbani se non marginalmente, e svolge un ruolo diametralmente opposto, mantenendo la storica cesura tra i due quartieri di Borgo Roma e Golosine-Santa Lucia.
Ma ci sembra importante sottolineare un’ulteriore perplessità, che non ha a che vedere né con i protagonisti né con gli esiti edilizi, ed è riferibile piuttosto al contesto culturale della città. Forse il Polo Culturale avrebbe potuto nascere se la città fosse stata in grado di generare stimoli, proposte, di sollecitare visioni di progresso, di interpretare le sfide del futuro, di concepire insomma una reale proposta culturale. Verona e il suo tessuto sociale non sono state in grado di farlo, diversamente da altre realtà, basti citare le OGR a Torino o il MAST a Bologna (10). E questo porta a considerare l’intera operazione un’occasione mancata per tutta la città e non solo per Verona sud, che avrebbe potuto veder cambiare le sorti proprie e degli investitori che non hanno avuto la lungimiranza di comprendere come la rivalutazione “culturale” degli spazi avrebbe profondamente cambiato il valore, anche economico, di quella parte di città.
L’altro polo
Anche nel caso dell’ex Mercato Ortofrutticolo, gli esiti ad oggi riscontrabili paiono incerti e ambigui. Lo schema del Piano Particolareggiato faceva corrispondere al Polo Culturale il Polo Finanziario – una cittadella terziaria direzionale – affiancato dall’ambito ricreativo del Parco Urbano e da quattro marco isolati residenziali, entro un disegno unitario dove l’elemento di connessione era costituito dal parco. Nella realtà i due comparti hanno avuto vita autonoma, tanto che alla soppressione del Polo Finanziario (11) non ha corrisposto una revisione complessiva del progetto che ne confermasse il carattere unitario . Al posto degli edifici finanziari è iniziata la grottesca vicenda della realizzazione di un grande parcheggio a raso per oltre 2000 posti auto, una buona metà del quale ha fatto spazio nel volgere di pochi anni all’insediamento di un grande supermercato (12).
Nel contempo le Gallerie Mercatali, passate nel 2015 di proprietà alla Fiera, sono in corso di recupero, ma il loro utilizzo resta funzionale alle logiche delle manifestazioni fieristiche e in quanto tali, rimangono rigidamente chiuse nel proprio recinto. L’unico elemento a essere stato completato nel 2016 è il Parco, un importante polmone verde che il quartiere di Borgo Roma ha atteso per anni e che oggi è molto apprezzato e utilizzato dai cittadini. Eppure, a ben guardare, quel grande prato appare come un’isola, non relazionata con l’intorno, perché l’intorno che era stato prefigurato è venuto meno: non solo il mancato quartiere finanziario ma anche il completamento residenziale, con la realizzazione di uno solo dei quattro isolati previsti, pensati anche a consolidamento e ricomposizione delle frange urbane dell’edificato storico di Borgo Roma. Venuta meno la procedura del Concorso internazionale di idee per la sua progettazione, indetto e immediatamente sospeso nel 2007, l’idea del Parco Urbano è miseramente deragliata verso quella di giardinetto di quartiere, pur di grandi dimensioni e molto utilizzato. Né basterà il suo prospettato ampliamento sugli isolati inedificati, così come ora ipotizzato nel progetto Looper per la realizzazione di un Bosco Urbano (13), a ricucire il sistema: infrastrutturale del tempo libero, per esempio con connessioni al futuro parco urbano dello scalo ferroviario.
Così come non sembra cercare relazioni, compiaciuto del proprio disegno auto referenziale , il parterre disegnato da Botta per il grande vuoto dei Magazzini, una trama geometrica a losanghe estesa a copertura della grande autorimessa interrata di prossima realizzazione, che pare indifferente alla volontà di costruire luoghi di vita urbana all’aperto.
Molto rumore per nulla?
Dall’approvazione del PRUSST negli anni 2000 ad oggi sono trascorsi ormai circa vent’anni, nei quali sono sfumate via via tutte le premesse e le aspettative che si erano nutrite intorno agli esiti del più importante intervento urbano a Verona nel nuovo millennio. Tanto rumore per nulla, quindi? Riponiamo speranza in alcune questioni ancora aperte.
Innanzitutto ci sembra corretto sospendere il giudizio fino al completamento del cantiere, riservando il beneficio del dubbio agli esiti definitivi. Inoltre il progetto in via avanzata di definizione per la Manifattura Tabacchi potrà far sentire il suo influsso, favorendo la sinergia tra i due importanti ex recinti industriali, a partire proprio dalla demolizione del muro della Manifattura (è troppo sperare in un simile ravvedimento anche per i Magazzini?).
Un’altra questione decisiva riguarderà gli esiti dell’intervento sulla Rotonda, perché l’insediamento di Eataly – sbandierato per anni come certo – potrebbe non essere più così definitivo. È evidente che gli usi dell’edificio simbolicamente più rappresentativo dell’area condizioneranno fortemente l’insieme, e quando sarà possibile accedervi si capirà cosa resta della magia di quello spazio. Da ultimo potrà avere un ruolo importante l’imminente realizzazione della filovia, il cui tracciato corre tra il Parco, l’area dei parcheggi e le Gallerie mercatali: anch’essa potrebbe avere un ruolo di auspicabile riconnessione degli interventi su Viale del Lavoro con i Magazzini, dei Magazzini col Parco Urbano e, in definitiva, di tutta la parte col resto della città.
1 Il Progetto Preliminare alla Variante Generale al PRG (o Piano di Salvaguardia) fu presentato alla 1a Rassegna di Urbanistica Europea e alla 4a Rassegna
di Urbanistica Nazionale, promosse dall’IN U nel 1997. Richiamò attenzione internazionale il Concorso di idee sulle aree di Verona sud Subversive Insertion,
del 1999, organizzato da Vincenzo Pavan in collaborazione con USA Institute Italy. Il PR USST di Verona venne pubblicato su «Urbanistica Informazioni»” n. 170/2000 e negli Atti del Simposio internazionale Globalisation policy of local government tenuto al Center for Architecture and Urban Design di Seoul nel 2006.
2 «AV» si è interessata con continuità dello sviluppo di Verona sud a partire da un numero monografico, il 79 del 2007, e in seguito con una rubrica intitolata Finestra su Verona sud.
3 Il PR USST per Verona Sud, ammesso nel 2000 a finanziamento statale, porta la firma del prof. Franco Mancuso – che ne ha ripercorso le vicende in Ritorno
a Verona Sud, in «AV» 107, pp. 76-83 –, il quale sollecitò l’amministrazione a partecipare al bando. Mancuso era in quegli anni consulente per il Progetto Preliminare della Variante al PRG , che fu poi fatta scadere per decorrenza dei termini. Il PR USST necessitava di un successivo livello di pianificazione, il Piano
Particolareggiato, adottato nel 2002 a firma degli ingegneri Giovanni Crocioni e Celestino Porrino. La Variante urbanistica che lo recepì, la cosiddetta “Variante
Gabrielli” dal nome del suo autore, fu approvata nel 2007.
4 Cfr. A. Greco e U. Tombari, Fondazioni 3.0, da banchieri a motori di nuovo sviluppo, Bompiani Overlook, 2020.
5 I tre cambi d’uso fanno riferimento rispettivamente alle Delibere di Consiglio Comunale n.5750 del 23/6/2015, n.10339 del 22/11/2017 e n.10342 del 22/11/2017.
6 Nell’edificio, il cui progetto di riconversione è firmato dallo Studio Mattioli Associati, hanno preso posto nel tempo l’Ordine degli Ingegneri, AN CE, il
MusALab – Museo Archivio Laboratorio Franca Rame Dario Fo e CMV – Children’s Museum Verona. Cfr. A. Vignolo, La riconversione del Magazzino del Grano:
cum grano salis? in «AV» 99, 2014, pp. 72-75.
7 Il progetto è firmato dal gruppo M28 guidato da Antonio Ravalli. Cfr. C. Tenca, Verso un nuovo Ordine, in «AV» 105, 2016, pp. 42-49.
8 Decreto Ministero per i Beni e le Attività Culturali – PG 36713 del 08/05/1999.
9 Si tratta di un progetto preliminare elaborato per conto di Italiana Costruzioni nel 2005 da Massimo e Gabriella Carmassi con Christopher Evans.
10 Le Officine Grandi Riparazioni, strutture ferroviarie in disuso, sono state convertite a centro culturale e a incubatore di idee, start up, industrie creative e
smart data, per mano della fondazione bancaria torinese (www.ogrtorino.it); a Bologna un’azienda privata ha fondato il MAST , istituzione culturale incentrata
su tecnologia, arte e innovazione (www.mast.org); e così molti altri casi in Italia e all’estero.
11 Nel 2005 l’area era stata ceduta dal Comune alla Fondazione Cariverona che, successivamente, attraverso la Polo Finanziario s.p.a. l’aveva condivisa
con il Banco Popolare di Verona e la Società Cattolica Assicurazioni. Nel 2010 il Comune riacquista la maggioranza (l’85%) della società Polo Finanziario
grazie alla permuta con Palazzo Forti. La residua parte (il 15% circa) diventa di proprietà dell’Ente Fiera, che ne gestisce il patrimonio attraverso una nuova società
denominata Polo Fieristico s.p.a. Sulle proposte architettoniche per il Polo finanziario cfr. A. Vignolo, Quel che resta del Polo, in «83» 105, 2009, pp. 94-105.
12 Cfr. M. Pivetta, Alla fine della fiera, in «AV» 112, 2018, pp. 86-89.
13 Il progetto europeo Looper- Learning Loops in the Public Realm, cui Verona ha aderito assieme a Bruxelles e Manchester, mira ad affrontare le problematiche legate all’inquinamento atmosferico attraverso un percorso partecipato. Per l’estensione del parco si ipotizza di trasferire in altre aree da identificare i crediti edilizi dei due isolati di proprietà del comune e della metà di quello di proprietà ATER.